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Quel "balu bislong" che mi è rimasto nel cuore

   

1995: anno disgraziato, incontrai dei mascalzoni.

1995: anno fortunato, incontrai dei galantuomini.

Dei primi ricordo nomi, cognomi, facce, cariche, cravatte bene annodate, gargarismi prima dei discorsi in pubblico, con la voce ben impostata e le citazioni American style. Li ricordo ma mi darebbe la nausea citarli.

Dei secondi ricordo nomi, cognomi, facce, caratteri sanguigni, combattivi, gente della Bassa Padana, che avrebbero potuto recitare con Bernardo Bertolucci in "Novecento". Un paio ce li vedrei bene nelle parti di Alfredo Berlinghieri e Leo Dalcò. Gente vera, che ti guarda negli occhi quando ti parla e ti stringe la mano come in un maglio. E quella stretta vale erga omnes. Non sono necessari contratti sui quali scripta non manent, parole scritte con quello che una volta si chiamava inchiostro simpatico, burlone perchè spariva. Eppure i rudi uomini sotto la Torre del Castello sono abituati a gestire aziende in tutto il mondo e sanno che non si scherza con i contratti. Sulle rive del Tevere è diverso. Uno era - ed è - conosciuto coram populo come "Osso". Chiesi la spiegazione. Semplice, mi dissero: se mette i denti su qualcosa o qualcuno non lo molla più, era così quando era giocatore, è rimasto tale quale nel business , nella attività imprenditoriale, nella dirigenza sportiva.

Gente di Rugby (gioco, non la cittadina del Warwickshire, ma la sovrapposizione è ben nota), gente della palla ovale, gente di Calvisano, Bassa Bresciana orientale, con numerose testimonianze di epoca romana. Uno storico inglese, Robert Seymour Conway, colloca perfino nella campagna non lontano da Calvisano il podere dove vide la luce Virgilio, quello che accompagna Dante a spasso per Inferno, Purgatorio e Paradiso. I mantovani inorridiscono e insorgono. La lunga storia racconta la libido che, in ogni epoca, regnanti, Desiderio, Berengario II, Adalberto II, uomini di chiesa, milanesi, veneziani, ferraresi o asburgici che fossero, ebbero per il castrum calvino. Lungo periodo di appartenenza alla Serenissima. A proposito: chi vi dice che non sia nato a quel tempo l'amore per la palla ovale, data la conclamata supremazia veneta in questo sport? Forse era già nel DNA. Storici dello sport indagate!

Conoscevo questi "gladiatori" dai tempi in cui imbrattavo le pagine del "Giornale di Brescia", redazione sportiva (1974 - 1989, dal '77 in pianta stabile), ma fu un uomo per tanti versi indimenticabile a creare l' occasione di un rapporto professionale fra loro e me durato parecchi mesi. Ersilio Motta era stato mio caposervizio al GiodiBre, affettuosamente (non sempre)  etichettato dai bresciani come "il bugiardino", il quotidiano intendo. Ersilio era...Ersilio, come ciascuno di noi. Ma non gli mancavano cuore (il muscolo che poi lo ha ferocemente tradito) e generosità. Sapendo del mio incontro con i birbaccioni lungoteverini, suggerì ai calvini di tendermi una mano e di affidare a me il settore comunicazione del Campionato del mondo juniores organizzato sotto l'insegna della F.I.R.A., la Fédération Internationale de Rugby Amateur, creata dai francesi quando quei simpaticoni dei british esclusero i "galletti" dal Five Nations, anni Trenta supergiù. Loro, gli snob, hanno sempre avuto questo atteggiamento isolazionista, o loro cacciano gli altri, o se ne vanno da soli, altezzosi (leggi Brexit). Oggi la sigla F.I.R.A. non esiste più, sostituita da Rugby Europe. Una delle regole del principe di Salina: cambiare tutto (nome in questo caso) perchè non cambi niente.

Calvisano chiede dunque il mondialino junior (32 squadre, non robetta), lo ottiene, mette sul tavolo le garanzie numismatiche, i "piccioli" in Sicilia, le "cuccalle" a Piacenza. E parte. Con Calvisano ci sono Brescia, Rovato e altri club della vasta provincia bresciana, poi Viadana, Mantova, Lecco, e forse scordo qualcuno. Mi chiamano, accetto ben volentieri: da novembre 1995 a giugno 1996 ho trascorso alcuni dei mesi più belli della mia vita. Ufficio stampa gestito con i miei figliocci Paolo Marabini, Daniele Menarini, Lucia ed Enrica Gianluppi, poi ci raggiunse, sul finale, anche Valerio Vecchiarelli, concittadino di Varrone Reatino e Sandro Giovannelli,  scortato da un baobab di due metri che veniva dalla Namibia, o dal Botswana, non ricordo, giocava a rugby, trangugiava litri di birra e faceva la guardia forestale in un parco, il suo sogno fin da bambino. E non esito ad affermare che quella fu la mia migliore e divertente esperienza professionale, nessun altro lavoro e ambiente mi ha dato quello che ho ricevuto a Calvisano in termini di rispetto, apprezzamento, cordialità, riconoscenza. Conservo un affetto speciale per Calvisano e la sua gente del "balu bislong". Anche se dopo sono partito ad inseguire la chimera di quell' atletica che qualche amarezza mi ha procurato, e quindi i contatti non sono stati frequenti, la mia ammirazione per Alfredo Gavazzi (oggi presidente della Federazione italiana rugby), per Gian Vaccari e per Beppe Vigasio rimane solida e immutata.

Per questo, sabato 27 maggio, sono andato al Pata Stadium con i miei amici Marco e Pietro a vedere la finale del Campionato Eccellenza che riproponeva (come l'anno prima) sul terreno i gialloneri del Calvisano e i rossoblu del glorioso Rovigo. Ci hanno fatto "stringere" una bella mezz'ora all'inizio, ma poi tutto è andato a posto: lo scudetto del rugby italiano è rimasto nella Bassa Bresciana. Sesto titolo, due in Campionato Superdieci e quattro in Eccellenza, non male, no? Oggi Alfredo e Gian hanno passato la mano ai figli (Alessandro Vaccari presidente, Marco Gavazzi uno dei vicepresidenti), e, a quanto pare, buon sangue non mente. Sono ripartito felice per la mia montagnetta gardesana, dopo aver fatto un moderato brindisi di orzo e luppolo con Marco e Pietro. Orgoglioso di aver vestito - lo sanno in pochi - una volta la maglia giallonera del Calvisano...ma era solo per una simpatica foto promozionale prima di quel lontano Mondiale junior!

Le foto che mi ritraggono allo stadio calvino con Marco sono state scattate da Pietro Delpero.

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