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Immagini che riemergono non solo dall'acqua

Immagine dal day after, quando il mondo presuntuoso riemegerà dall'incubo del virus coronato? No, questa è una visione del day before. Siamo nel bacino della diga di Valvestino, costruita fra il 1959 e il 1962. Sta a circa 6 km da dove abito io, a Navazzo. Lo dico per coloro che, fra i miei amici, devono orientarsi. Ultimamente, vuoi per la scarsità di precipitazioni vuoi per lo svuotamento della diga - per verificarne la solidità, si sente dire, Ponte Morandi di Genova insegna, speriamo, ma io non ci credo - il livello dell'acqua è bassissimo. Il mio amico Elio Forti, che di queste terre conosce ogni pietra, ogni sentiero, ogni arbusto, mi assicura che raramente si è spinto lo sguardo all'interno della diga così a fondo.

Ed ecco emergere questa visione, quasi surreale. L'edificio di cui restano in piedi solo parte dei muri esterni, è la vecchia caserma che ospitava la dogana al confine fra il Regno d'Italia e l'Impero Asburgico, che fin qui estendeva il suo dominio. Sulle montagne qui attorno, si combattè durante quella grande macelleria umana di povera gente chiamata Prima Guerra Mondiale, 1914 - 1918: fortificazioni, gallerie, casematte, sono ancora visibili.  Prima della immersione nelle acque dei due immissari Droanello e Toscolano, questa si chiamava Località Patoala, e non, come alcuni dicono erroneamente, Lignano, mi spiega Elio. In questa località esiste ancora una targa che ricorda il vero confine fra i due Stati, ma è distante almeno un chilometro e mezzo dai ruderi della caserma. 

Questa foto, scattata pochi giorni fa, da Marco Peiano, fa riemergere insieme con le pietre, anche i fantasmi del nostro passato.

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