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Michele Serra: prestatori di facce e di voci

Fra le mie non poche manie c'è quella di conservare i giornali - quelli cartecei, sono un affezionato della cellulosa - vecchi di mesi, oppure, se non proprio il giornale intero, le pagine o anche solo i ritagli di articoli che mi riprometto di leggere. E la carta si accumula in montagne dal precario equilibrio. Finchè...finchè la carta prende la strada del cassonetto del riciclo (altro mio pallino da sempre). Ma prima dell'ultimo «miglio verde» (romanzo di Stephen King su cui è stato fatto anche un bel film) ho ancora la curiosità di selezionare rapidamente per vedere se c'è qualche scritto di particolare interesse (per me). È successo non più tardi di ieri. E mi sono imbattuto in una «Amaca», la rubrica di Michele Serra (uno che val sempre la pena leggere) sul quotidiano «la Repubblica». Questa è di molti mesi fa, ma l'argomento non tramonta mai: la politica, o meglio la parodia della politica alla quale molti, tanti, la maggioranza degli italiani sono quotidianamente condannati. Il titolo di quello scritto era lampante nel suo significato: «Il contrario della politica». Solo una aggiuntina: dedico lo scritto di Serra a quelle persone, anche amici, purtroppo, che non fan altro che sputare iracondo veleno sulla politica, che invece, nella sua vera essenza, è la linfa della società.

"Guarda fisso dentro l'occhio della telecamera, come quando si fanno le foto per il passaporto. Dice in pochi secondi una frase già memorizzata, con lo stesso tono assertivo, e al tempo steso inespressivo, con il quale si dicono le frasi già memorizzate: come nelle interrogazioni a scuola. Non una sola parola sembra pensata al momento, detta proprio per quell'occasione, influenzata da una conversazione precedente o successiva. Non una sola parola tradisce la presenza di una persona, di un pensiero, di un'emozione. Chi sta parlando è solo un prestatore di faccia e di voce.

"Sono tutte identiche le decine, centinaia, migliaia di dichiarazioni-flash che i politici rilasciano ai telegiornali, che provvederanno poi a confezionarli in quelle orride, insopportabili eppure irriformabili macedonie di dichiarazioni (suddivise per partito) che sono una parodia del pluralismo e un'offesa al giornalismo (il giornalista, difatti, non compare; lo spazio è appaltato all'onorevole, punto e basta).

"Niente è più prevedibile: si sa già prima che aprano bocca quello che diranno. Diranno che il loro partito ha ragione, gli altri partiti torto. in pochi secondi riusciranno quasi certamente a stipare le parole «italiani» e «poltrone», le più risapute, ripetute, banali. Ma anche dovessero dire «paralipomeni», o «culo», il modo in cui lo dicono è talmente meccanizzato che nessuno se ne accorgerebbe. Le dichiarazioni dei politici ai tigì sono il livello zero della politica. Dopo tutti questi anni si è rinunciato a stabilire chi ne porti maggiore responsabilità, se la Rai o la politica. Chi sia in ostaggio di chi. È la sindrome di Stoccolma".

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