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I girasoli di van Gogh e quelli di Gianni Mura

Ho vergato, stamane, qualche riga di presentazione di questo libro nello spazio che ho chiamato «CARTASTORIE», dove dico la mia - che interessa solo a me - su libri che leggo, insisto: solo libri che leggo. Raccolta ben selezionata e ordinata di scritti di Gianni Mura, che è andato in fuga qualche mese fa, e non è più stato raggiunto. Scritti di ciclismo e di ciclisti, di panorami  e di amori, di vizi e di virtù. Certo Gianni doveva avere dei santi protettori molto influenti in cielo per aver ricevuto in dono questa eccelsa dote dello scrivere. Queste pagine ne sono testimonianza. Date retta a me, per una volta: andate in edicola e spendete nove euro e novanta centesimi per comprare questo libro. Poi, con calma, lo leggete, anzi i capitoli che vi piacciano leggeteli due volte. Soprattutto ho l'ardire di consigliarlo a chi prende la paga a fine mese in un giornale, cartaceo o online che sia. Fiato sprecato, meglio passare il tempo sulla pattumiera/pattumiere in rete.

I racconti del Tour e del Giro li lascio a chi vorrà leggerseli, ammesso che...Vi affido invece due istantanee, una che viene dal passato (1967, Mura aveva 22 anni), la seconda da tempi recenti.

"...io stavo zitto perchè non avevo nulla da dire. Sull'Opel Caravan celeste mutanda, Gazzetta dello Sport scritto in bianco sulle fiancate, al volante Ezio Graziani, omone bustocco dall'aria da orco, in realtà buono come il pane, già giocatore di rugby. A destra Bruno Raschi, detto il Divino Maestro, prima firma, riusciva a scrivere a mano su un grande taccuino anche nella discesa del Tourmalet, mai capito come facesse. Dietro di lui Rino Negri, seconda firma, detto il Cardinal Colombo della pedivella, anche lui riusciva a scrivere nella discesa del Tourmalet, a macchina però, mai capito come facesse. I soprannomi li aveva dati Graziani . A fianco di Negri io, ragazzo di bottega e al momento senza soprannomi. Riuscivo a scrivere solo giù dall'auto e dovevo andare veloce per non restare indietro. Il soprannome l' avrei avuto più in là, a Colmar". Glielo diede il Graziani vedendolo passare bagnato fradicio, loro al ristorante, lui a spasso per Colmar:"Tel lì l'anadròn", guardalo lì l'anatrone.

Queste righe le ho rapinate da una intervista a Mura messa, con altri pezzulli, a chiusura del libro. Poi vi dirò perchè ho deciso di copiarle.

"Molti direttori di giornali non credono più nel pezzo lungo e scritto con un buon italiano perchè dicono che la gente non ha tempo di leggere e invece non è vero. Io ho sempre sostenuto che questa fosse una balla, se uno vuole il tempo lo trova. Dipende cosa dai da leggere ai lettori. Non è che ha perso fascino il racconto, l'ha perso presso quelli che spesso fanno i giornali e decidono come farli. Questo è purtroppo". Non posso aggiungere altro perchè lo direi molto peggio. Aggiungo solo un morso astioso: piantetela di contar cazzate, signori giornalisti. La teoria che i pezzi devono essere 40 righe, max, ve la siete inventata voi per far sempre meno, e avere il tempo a vostra disposizione per le comparsate (ben remunerate, in tv), per agganciare editori cui rifilare i vostri libri, per scimmiottare gli opinionisti sui vostri a-social personali, per andare a prendere i bambini a scuola, e via elencando. Ci sono dei signori direttori che passano molto più tempo in sala trucco e negli studi televisivi che non in redazione. Ma gli editori son contenti. E allora perchè piangere sui giornali che stan morendo?

Il giornalismo visto da Gianni Mura

- Sei uno degli ultimi pionieri, se non l'ultimo, dei pezzi «di colore»: che succederà quando smetterai di scrivere sul Tour?

"A me che sarò molto più triste, al resto del mondo non me ne frega più di tanto. Io spero che continueranno a esserci pezzi di colore perchè credo in questo tipo di giornalismo che è un giornalismo più lungo che corto, più umano che superumano. Di Pantani avevo detto che sembrava uno che aveva rubato la bici e aveva bigiato scuola. Credo che proprio la retorica l'ho schivata. E quindi per questo tipo di giornalismo mi dispiace. Forse rispunterà quando tutti si saranno stufati di leggere dei pezzi che sembrano dei verbali di polizia stradale e forse ci sarà qualcuno che riporterà in alto il genere. Non si ritiene più necessario mandare al Giro giornalisti-scrittori com'erano Buzzati e Pratolini, è più facile che li mandino per un Mondiale di calcio. Io vedo un barlume di speranza in questo senso: questo tipo di giornalismo, a tanti o a pochi, per quanto mi risulta ancora a tanti, continua a piacere. Ma è abbastanza difficile tenerlo in vita. Pratolini o Gatto erano sempre l'inviato in più, di letteratura, rispetto all'inviato ciclistico. Io ho potuto tenerlo in vita perchè ho fatto il triplo inviato in una persona sola, quello che chiamo «effetto spugna»: faccio la corsa, l'essenziale delle interviste e se c'è del colore ce lo metto. Una persona costa meno di due come inviato. Il fatto che io parli dei girasoli è perchè essendo lì sento il dovere di dare qualcosa di quello che vedo. Le fasi della corsa il lettore le ha già viste. L'importante è rispettare l'importanza delle cose, per cui se c'è una tappa veramente «a tutta» possono anche esserci 700 chilometri di girasoli e io ne parlo appena; se non è successo un cazzo e devo fare un minimo di 85 o 90 righe allora ci metto anche il paesaggio".

Girasoli. Ci ricordano quello enorme di Antoon van Dyck, i vasi di Vincent van Gogh, e poi Paul Gauguin, Gustav Klimt, Egon Schiele, la poesia di Eugenio Montale. Ci ricorderanno sempre Gianni Mura.

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