Uomini e donne, società e sport

Il mio amico Daniele Poto mi ha preceduto in fotofinish, visto che l'argomento che ci propone oggi entra anche nelle stanze dello sport. E per non togliergli spazio non aggiungo altro. Prendo a prestito lo slogan che va tanto di moda, Non una di meno”, per modificarlo in un Non una di più”, intendo riga di commento a quanto dice Daniele. C'è dentro tutto, o quasi tutto, quello che avrei voluto dire io. Ma non posso fare a meno, è più forte dei buoni propositi, non dire che chiamare sindaca, direttora, ministra, mi fa venire l'orticaria, lo trovo di un brutto repellente. Chiamare Delia Castellini (non siamo parenti) brava e appassionata prima cittadina di Toscolano Maderno (confermata per il secondo mandato) "sindaca", beh, proprio non mi riesce. Trovo molto più rispettoso ed elegante rivolgermi a lei come "signora Sindaco". Se poi mi denuncerà (ho letto che in Parlamento perdono tempo prezioso per queste minchiate scambiandosi furibondi battibecchi polemici), pazienza Delia, affronterò la pesante condanna!

Codicillo - Ascoltate bene questo monologo della signora Valentina Vezzali: povertà di linguaggio, esercizio di piaggeria senza pudore, battuta finale davvero di pessimo gusto. Poi, ottenuto quel che voleva in politica, ha cambiato bandiera, si è fatta «toccare», schermisticamente parlando, da qualcun altro. Adesso la (s)toccata tocca a Malagò e al prof. Mario Draghi, che ha messo un piedi un governo (lettera minuscola voluta) che sembra il Wild West Show, il Circo di inizio Novecento messo in piedi da William Cody, per tutti Buffalo Bill. Li aveva tirati dentro tutti, bianchi e pellerossa, pistoleri e avventurieri, da Calamity Jane a Toro Seduto, da Wild Bill Hickok a Alce Nero. Avanti c'è posto!

Vezzali e Granata, non è una svolta

di Daniele Poto

Si parte da una gaffe veniale del presidente del C.O.N.I. Giovanni Malagò (l’aver ignorato in pubblico convivio i meriti del rugby femminile) per approdare a un discorso più generale. Ci si può meravigliare che le argomentazioni che seguono vengano da un uomo, ma concedendo che ogni speculazione non è perfettamente oggettiva perché spesa da un angolo visuale soggettivo, la volontà dell’autore è di creare un dibattito, non necessariamente divisivo nell’eterna querelle uomo-donna.

Non c’è dubbio che la cronica arretratezza della nostra civiltà registri il ritardo storico nei pari diritti dei due sessi. Basti ricordare che il suffragio universale paritario è scattato solo nel 1946 tagliando fuori dalla storia decine di generazioni di italiane per fotografare una colpa evidente. Ma dalla colpa non può nascere un complesso rimontabile con la demagogica concessione di diritti “finti”. Le pari opportunità, le quota rosa, il parcheggio dedicato alla donne (più che mai giustificabile per quelle incinta) sono palliativi che spostano poco la questione, anzi la ribaltano su un piano di concessioni demagogiche. E mettiamo sullo stesso livello la manomissione delle parole, il revisionismo semantico. Il ministro che diventa ministra, l’assessore che diventa assessora, il direttore d’orchestra che diventa la direttora, come il direttore di un giornale. Lo stesso programma word si ribella a questa coatta manipolazione. Cacofonie che sono forzature rispetto a una logica evoluzione.

In tempi di post femminismo e di “Non una di meno”, sotto l’influsso del "Mee too" e della recrudescenza dei femminicidi, nella vita sociale c’è l’esasperata tendenza a far largo a spintoni ai soggetti femminili. E non per merito ma per le famigerate quote. Vi ricordate quando si cercava a tutti i costi un Presidente della Repubblica donna e si avanzavano le candidature di Emma Bonino e di Anna Finocchiaro? Con tutto il rispetto, a nostro giudizio, inadatte al ruolo. E non perché donne ma in quanto a meriti politici tout court. Lo stesso dibattito si è riaffacciato all’interno del Pd il cui attuale presidente è Valentina Cuppi. Alzi la mano chi sa qualcosa in più su Valentina Cuppi rispetto a nome e cognome. Polemiche per i mancati riconoscimenti a ministri donne. Non è solo una battuta se suggerisco di evitare nel Governo altri soggetti femminili se gli esempi preclari sono quelli di Mariastella Gelmini e Mara Carfagna, emanazioni del Capo, e sappiamo a chi ci riferiamo, anche se la seconda si è progressivamente dissociata da Berlusconi.

L’effervescenza è viva anche nello sport. La protegé di Malagò, Diana Bianchedi, era incandidabile al ruolo di sottosegretaria per lo sport a causa di un evidente conflitto d’interessi (prende proventi dall’ente). Dal cilindro dell’improvvisazione è spuntata fuori Valentina Vezzali, conosciuta in politica per aver toccato altissimi livelli di assenteismo oltre che per aver cambiato schieramento incurante di un vincolo di mandato che in Italia è applicazione solo teorica. Adatta al ruolo o unfit? Noi sospettiamo che in quanto a politica sportiva la Vezzali maneggi meno conoscenze del precedente Ministro Spadafora che in quanto a competenza certo non brillava. Però la Vezzali (quella che da Berlusconi si sarebbe fatta piacevolmente “toccare”) ha ori olimpici, prestigio, è un personaggio popolare e tanto basta. Si è applaudita la svolta storica con Antonella Granata, primo presidente donna (o presidenta?) di una Federazione sportiva. Siamo proprio all’ultimo stadio nella nomenclatura del C.O.N.I. con lo squash, ma tanto basta per far parlare di muri che cadono, di cambio della guardia.

Gli uomini non devono concedere nulla e per non incorrere in un ossimoro non possono essere femministi. Non concessioni ma riconoscimento di diritti. La rivoluzione si fa, non s’implora né si chiede.  Parleremo di svolta storica se Antonella Bellutti si imponesse come presidente del C.O.N.I. battendo Malagò. Ma non succederà. E Malagò stesso si fa interprete demagogico per l’episodio di cui riferivamo in avvio di intervento. “Avrei voluto un figlio maschio per vederlo giocare a rugby”. E le sue figlie femmine? Come vedete il pensiero concessivo, e un po’ ipocrita, è dietro l’angolo.