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Diecimiglia del Garda e Palio della Quercia...

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Diecimiglia del Garda, edizione 2019: il sole del Montegargnano illumina le facce dei kenioti al passaggio sotto la chiesa di Navazzo

 ...ci provano. All'insegna dell' abusatissimo slogan «ripartiamo» (le case automobilistiche ci vanno a nozze con le loro scontate pubblicità) due stagionate signore dell'atletica gardesano-trentina (una 47, l'altra 56 anni) han deciso di rimettersi in gioco. Normative permettendo. Si tratta di una corsa su strada e di una riunione in pista. La «Diecimiglia del Garda» è una esibizione di opliti nata in epoca di podismo rampante, nel 1974, a Navazzo, piccola frazione del Comune di Gargnano, lago di Garda. Ha conosciuto tutti i passaggi della crescita e poi della decrescita normali in una manifestazione sportiva che dura tanti anni ma che non può mantenere sempre la stessa qualità. È come per l'esistenza di qualsiasi animale o organizzazione, il ciclo normale della vita, intesa in senso molto ampio. Corsetta di paese all'epoca dell'austerity per le domeniche a piedi, poi dimensione provinciale, nazionale, internazionale, al vertice con nomi di atleti che circumnavigavano il vasto mondo della corsa mondiale. Poi la fase calante, inevitabile, ma mitigata dalla ferrea volontà di pochi tenaci, testardi, io direi temerari. E così, anno dopo anno, stringendo i denti e allargando il portafoglio (solo di qualcuno...) la corsa della prima domenica di agosto ha retto, pur con qualche invenzione, qualche cedimento alle mode podistiche nelle quali si fa ormai fatica a distinguere la qualità dalla quantità. Comunque, onore alla perseveranza. Tanto che...tanto che, virus o non virus, gli organizzatori (io dico, l'organizzatore) ha tenuto aperta la porta alla possibilità di far disputare la 47esima edizione accogliendo tutte le condizioni imposte dagli organismi sportivi e dalle autorità amministrative. Si farà? Ne siamo sicuri? Noi siamo pronti, nel rispetto di quanto ci viene imposto, mi ha detto il capataz. Quando? Domenica mattina 2 agosto, Sant'Eusebio, e bravo, ma quale? se ne contano ben quindici...nessun problema: quello che Papa Paolo VI, nella sua riforma liturgica, ha iscritto al 2 agosto, Sant'Eusebio vescovo di Vercelli, e patrono dell'intero Piemonte.

Rovereto, la bella Rovereto, dista da Navazzo circa un'oretta e mezzo di auto: Gardesana Occidentale fino a Riva, salita a Nago, poi vigneti di Marzemino, un bel bere, e sulla strada rivendite di prodotti dicono locali da stivare nei panzer, più che auto, degli Unni, di cui i famelici albergatori, ristoratori, pizzaioli e mescitori di spritz del Benaco attendono trepidanti la calata, per rimettere parzialmente in sesto i bilanci 2020. Rovereto e la società di atletica che colà ha messo radici e rami frondosi in settantacinque anni di vita (nacque nel 1945, un anno che non fu un anno qualunque, ha scritto qualcuno) si chiama Quercia, da 55 anni organizza un meeting che rispetta i canoni estetico-sportivi che ho enumerato per la corsa podistica di Navazzo: edizioni da ricordare, altre scarsine, da anni risultato di tenacia e caparbia volontà. Se non fossimo stolti, mi dice chi conosce il dare e l'avere, avremmo già abbassato la serranda. E invece, no, ecco i pronipoti del beato Antonio Rosmini che rispondono alla richiesta di riaccendere i motori (fatevi dare almeno un bonus, un incentivo come le auto ibride, amici di Rovereto) dell'atletica. Anche sulla bella nuova pista dello Stadio (inaugurata proprio un anno fa, indovinate come si chiama?), rispettando tutte le restrizioni dettate dal buon senso, martedì 8 settembre, si tenterà di rianimare il paziente sperando che sia in via di guarigione.

Navazzo e Rovereto, vite (quasi) parallele. Ve lo ho raccontate a modo mio. Fossi Plutarco avrei fatto di meglio. Accontentatevi.

Michele Serra: prestatori di facce e di voci

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Fra le mie non poche manie c'è quella di conservare i giornali - quelli cartecei, sono un affezionato della cellulosa - vecchi di mesi, oppure, se non proprio il giornale intero, le pagine o anche solo i ritagli di articoli che mi riprometto di leggere. E la carta si accumula in montagne dal precario equilibrio. Finchè...finchè la carta prende la strada del cassonetto del riciclo (altro mio pallino da sempre). Ma prima dell'ultimo «miglio verde» (romanzo di Stephen King su cui è stato fatto anche un bel film) ho ancora la curiosità di selezionare rapidamente per vedere se c'è qualche scritto di particolare interesse (per me). È successo non più tardi di ieri. E mi sono imbattuto in una «Amaca», la rubrica di Michele Serra (uno che val sempre la pena leggere) sul quotidiano «la Repubblica». Questa è di molti mesi fa, ma l'argomento non tramonta mai: la politica, o meglio la parodia della politica alla quale molti, tanti, la maggioranza degli italiani sono quotidianamente condannati. Il titolo di quello scritto era lampante nel suo significato: «Il contrario della politica». Solo una aggiuntina: dedico lo scritto di Serra a quelle persone, anche amici, purtroppo, che non fan altro che sputare iracondo veleno sulla politica, che invece, nella sua vera essenza, è la linfa della società.

"Guarda fisso dentro l'occhio della telecamera, come quando si fanno le foto per il passaporto. Dice in pochi secondi una frase già memorizzata, con lo stesso tono assertivo, e al tempo steso inespressivo, con il quale si dicono le frasi già memorizzate: come nelle interrogazioni a scuola. Non una sola parola sembra pensata al momento, detta proprio per quell'occasione, influenzata da una conversazione precedente o successiva. Non una sola parola tradisce la presenza di una persona, di un pensiero, di un'emozione. Chi sta parlando è solo un prestatore di faccia e di voce.

"Sono tutte identiche le decine, centinaia, migliaia di dichiarazioni-flash che i politici rilasciano ai telegiornali, che provvederanno poi a confezionarli in quelle orride, insopportabili eppure irriformabili macedonie di dichiarazioni (suddivise per partito) che sono una parodia del pluralismo e un'offesa al giornalismo (il giornalista, difatti, non compare; lo spazio è appaltato all'onorevole, punto e basta).

"Niente è più prevedibile: si sa già prima che aprano bocca quello che diranno. Diranno che il loro partito ha ragione, gli altri partiti torto. in pochi secondi riusciranno quasi certamente a stipare le parole «italiani» e «poltrone», le più risapute, ripetute, banali. Ma anche dovessero dire «paralipomeni», o «culo», il modo in cui lo dicono è talmente meccanizzato che nessuno se ne accorgerebbe. Le dichiarazioni dei politici ai tigì sono il livello zero della politica. Dopo tutti questi anni si è rinunciato a stabilire chi ne porti maggiore responsabilità, se la Rai o la politica. Chi sia in ostaggio di chi. È la sindrome di Stoccolma".

Occhi diversi per guardare il lago e le sue vele

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I soggetti sono gli stessi: l'ammaliante lago di Garda e le vele che lo solcano. Sono diversi gli occhi che lo osservano, e gli strumenti utilizzati per immortalarli: un sofisticato obiettivo fotografico (potrebbe essere Nikon, conoscendo il bagaglio preferito del fotografo), pennello e una tavolozza di colori per l'artista. Il paparazzo? Pietro Delpero, che, grazie alla disponibilità degli amici del Circolo Vela Gargnano, per un paio di edizioni ha inseguito da vicino sulle acque benacensi le moderne liburne impegnate non in azioni di guerra marittima come all'epoca dell'Impero Romano ma in un simulacro di guerra, quello sportivo: la «Centomiglia» velica. La foto si riferisce alla edizione 2018.

L'artista? Sicuramente parecchi hanno già riconosciuto il celebre personaggio che, seduto sulle sponde lacustri avvolto in nebbie color fumo di Londra, si cimentò con la sua sensibilità cromatica. Comunque il lago è sempre blu - anche oggi, per fortuna - e per vele scelta fissa su quel fascinoso rosso cotto fiorentino. Non vi dico di chi si tratta, perchè ho in serbo uno scritto (un gradito ritorno sull' «Eco» dopo assenza ingiustificata) che ci racconterà parecchie belle storie. Nei prossimi giorni, pazientate. Ci rivediamo qui, godetevi intanto foto e quadri.

Luglio 2020, tutti al mare, tanto ciavemo er bonus

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Dedico la pagina del mese di luglio del calendario che Chantal, Marco, Pietro, Roberto e io sentiamo come intimamente nostro, con questa bella veduta dell' Eremo di San Valentino, nella mia terra del Montegargnano, alla scrittrice cinese Fang Fang, della quale è stato pubblicato nei giorni scorsi il libro «Wuhan - Diari da una città chiusa» - Editori Rizzoli - la Repubblica. Ho iniziato a leggerlo, non molte pagine, ma già sufficienti a lasciare in me un segno. Scrittura che scorre con facilità, riflessioni di una persona normale, soprattutto intelligente, quello che spesso ci manca nelle relazioni della nostra vita quotidiana. Abbinate la ruvida bellezza delle pietre di San Valentino alle pacate parole di Fang Fang, che vanno collocate nella sua società, quella Cina, che non è quella della Rivoluzione Culturale maoista, ma è forse peggio.

"Un giornalista occidentale mi ha domandato:«Quale lezione dovrebbe imparare la Cina da questa epidemia?». Ho risposto:«Il virus non si è diffuso soltanto in Cina; ha colpito tutto il mondo. Il nuovo coronavirus non ha dato una lezione alla Cina, l'ha data a tutto il mondo; ha educato tutta l'umanità». La lezione è: il genere umano non può permettersi di essere arrogante; non possiamo più credere di essere il centro del mondo, non possiamo pensare di essere invincibili e non possiamo più sottovalutare la potenza distruttiva delle cose più infime - come lo è un virus. Il virus è il nemico comune del genere umano; è questa la lezione. L'unico modo per combatterlo e liberarci della sua morsa è farlo tutti insieme».

Esattamente come facciamo noi italiani: tutti insieme, ognuno per i cazzi propri.

Dal giorno 30 gennaio:"Da due giorni internet è invaso da articoli che analizzano il comportamento degli esperti che sono stati a Wuhan. È giusto, si tratta degli stessi stimati «esperti» che avevano abbassato la guardia dicendoci con assoluta noncuranza che il virus non si trasmetteva da uomo a uomo e che si poteva controllare e prevenire; con quelle irresponsabili dichiarazioni hanno commesso dei veri e propri crimini. Se mai fosse rimasto loro un briciolo di decenza, mi chiedo quanto si sentirannno in colpa nel vedere tanta gente che soffre».

Sostituire Wuhan con Lombardia, mutando l'ordine degli addendi la somma non cambia.

Dal giorno 31 gennaio:"Mio Dio, quante famiglie a Wuhan usciranno distrutte da questa tragedia? E finora nessuno mi sembra che abbia chiesto scusa o si sia assunto la responsabilità di tutto ciò, mentre c'è una quantità infinita di persone che scrive articoli o rilascia dichiarazioni per scaricare le responsabilità su altri...Ma perchè certe persone non riflettono prima di parlare?».

Sostituire Wuhan con Italia, mutando l'ordine degli addendi la somma non cambia.

Dal giorno 3 febbraio:"...(sta parlando delle persone infette) La sensazione di abbandono che provano deve essere più gelida dll'inverno stesso...Dobbiamo farla pagare a tutti quelli che si sono comportati con negligenza e leggerezza, o che semplicemente non hanno riconosciuto i danni provocati. Queste persone dovranno essere perseguite senza pietà, a nessuno di loro dovrà essere permesso di sottrarsi alle proprie responsabilità».

Qui non è possibile sostituire niente. Responsabilità? Termine ormai rimosso anche dal Dizionario della Crusca, o lo sarà fra poco. Agli italiani non gli frega un beato...parlare adesso di responsabiltà? ma che stai a dì? È iniziato luglio! Tutti in fila per andare al mare, tutti alla caccia del bonus vacanze, scorrerà il sangue alla Pensione Mariuccia per farsi riconoscere il bonus che, magari, non sarà ancora arrivato al momento de pagà la settimana a Rivazzurra.

Tutti al mare, tutti al mare, a mostrare le chiappe chiare...

La nostra foto - Dove: Eremo di San Valentino - Apparecchio: NIKON D850 - Lunghezza focale: 14.0 mm - Ottica: 14 mm f/2.8 - Tempo esposizione: 1/320 - Diaframma: f/8.0

Ne siamo usciti migliori, alcuni esempi (1)

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Esempi di miglioramento della educazione, della convivenza civile, del rispetto delle persone, dopo (io direi durante, perchè il pericolo che corriamo è tuttaltro che finito, spero di essere pessimista) lo sberlone che questa presuntuosa società, formata da tutti noi, ha preso ma di cui si è già dimenticata. Ieri pomeriggio, ho lasciato - di malavoglia - il mio eremo a mezza costa, e son sceso nella Supermarketlandia, obbligato dai vuoti che avevo notato nel mio frigorifero e nel mio congelatore. 

Episodio numero 1 - Siamo all'entrata di un supermercato, quello che ormai uso abitualmente, essendo un pigro abitudinario. In fila, ho davanti una coppia che parla la lingua degli Unni, che son tornati sul Garda come una volta (ho detto una volta) le rondini a primavera. Sull'entrata un gentile commesso del supermercato invita i clienti a disinfettare la barra del trolley dove si appoggiano le mani, poi a disinfettarsi le stesse e infine a proteggerle mettendosi i guantini di plastica, e prego s'accomodi. Odo, in sottofondo, la voce di una valkiria chiapputa che lascia eruttare uno stizzito «Scheisse» che nel forbito idioma degli Unni significa un italianissimo «merda».

Episodio numero 2 - Abbandonati gli Unni ai loro crauti, salsicce, wurstel e barilotti di birra, concludo le mie compere, e sono in fila, ben discosto, per posare quello che ho nel trolley. Dietro di me una coppia uomo-donna. Se ne va il cliente precedente, entro nel corridoietto davanti alla cassiera e comincio a mettere le mie ricche (con quel che costano!) compere sul nastro. Dietro, con la coda dell'occhio, vedo una sagoma avvicinarsi. Sbircio: un tale che brontola fra i denti, era già da qualche minuto che sentivo 'sto borbottio. La donna, con un cervello più sviluppato, azzarda un:«Non stare così vicino, stai qui, indietro». Risuona, soffocato dalla mascherina, penzoloni fra il naso e il mento un:«I s'enculen». Traduzione (anche se non serve) dal linguaggio dei trogloditi autoctoni:«S'inculino». Chi? Mah... Signora, mi spiace per lei. Episodio analogo, di intolleranza al rispetto di 'ste regoline semplici semplici (utili? inutili? mah, intanto provarci non costa nulla) mi ha raccontato la mia amica Giuseppina, maltrattata anche lei in un super da una medaglia d'oro dell'INPS (assegnatagli per il numero di anni da pensionato) che non sopportava che la signora stesse 2-3 metri lontana, perchè secondo lui con queste distanze ci sarebbero volute ore per pagare, lui aveva fretta. Meglio usare il tempo intubati in qualche sala di rianimazione.

Episodio numero 3 - Rinfrancato nello spirito, riconoscente per l'apprendimento in così breve tempo di vari differenti idiomi e delle loro colte sfumature, esco nel parcheggio. Sto ordinando il mio prezioso carico nel bagagliaio, quando vengo distratto da un vociare iroso. A qualche metro di distanza dietro di me, i conducenti di due mezzi in attesa di parcheggiare erano già scesi e si affrontavano a muso duro. La ragione? Il primo stava aspettando l'uscita di un'altra auto per prenderne il posto; quello dietro si era messo a pigiare sul clacson e alla richiesta di indietreggiare per favorire la manovra, era dato in escandescenze. Rob de matt! Notare: in quel momento, metà pomeriggio, il parcheggio del supermercato era semivuoto.

Il tutto in un posto solo e in poco più di un'ora. Risalendo sulla mia montagnetta, ripensavo agli episodi e mi sono chiesto: ci sarà una relazione causa-effetto fra la lunga quarantena e la manifesta aggressività? Mi son risposto di no, è solo la solita beluinità di tanti di noi. Condita con una bella dose di ignoranza.

Siamo migliori? Io, per precauzione, continuerei a usare il verbo al futuro semplice: saremo. E ci metterei un bel: forse. Saremo forse migliori, ma non si sa quando. Forse mai.

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