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Rosetta e Bruno, il significato di «resistere»

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In questa giornata del 25 aprile 2020 dedico queste frasi a due persone che hanno attraversato parte della mia vita e che hanno conosciuto la ferocia della dittatura nazifascista, pagando di persona e con le loro famiglie. Dico di Rosetta Nulli e di Bruno Bonomelli. A loro va oggi il mio pensiero. A loro dedico la prima frase del filosofo, matematico, attivista politico inglese, Bertrand Russell: Rosetta e Bruno erano dissidenti per costituzione.

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"Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Siate il peso che inclina il piano. Siate sempre in disaccordo perché il dissenso è un’arma. Siate sempre informati e non chiudetevi alla conoscenza perché anche il sapere è un’arma. Forse non cambierete il mondo, ma avrete contribuito a inclinare il piano nella vostra direzione e avrete reso la vostra vita degna di essere raccontata. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai". Bertrand Russell

 “Coltivare la Memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza e la può usare”. Liliana Segre

Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere”. Bertolt Brecht

"Era giunta l'ora di resistere; era giunta l'ora di essere uomini: di morire da uomini per essere uomini". Piero Calamandrei

"Una buona parte degli italiani vivrebbe nel fascismo come dentro la propria pelle. Magari dentro a un fascismo meno coreografico, con meno riti, con meno parole: ma fascismo. Un regime che non dia la preoccupazione di pensare, di valutare, di scegliere". Leonardo Sciascia

"Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra Costituzione". Piero Calamandrei

"Il 25 aprile. Una data che è parte essenziale della nostra storia: è anche per questo che oggi possiamo sentirci liberi. Una certa Resistenza non è mai finita". Enzo Biagi

"Ai guasti di un pericoloso sgretolamento della volontà generale, al naufragio della coscienza civica nella perdita del senso del diritto, ultimo, estremo baluardo della questione morale, è dovere della collettività resistere, resistere, resistere come su una irrinunciabile linea del Piave“. Francesco Saverio Borrelli

Pensieri (degli altri), che servono a noi

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Popolo di santi, poeti e navigatori...avevamo perduto per strada gli eroi, l'articolo non andava più di moda, adesso il virus li ha riportati in auge. Io vorrei però dire a medici, infermieri, operatori delle ambulanze, volontari, non fatevi illusioni: oggi tutti vi chiamano eroi, domani finita l'emergenza, le bestie di cui si è andato popolando il nostro allungato stivale riprenderanno ad aggredirvi nel pronto soccorso, devasteranno i vostri locali, vi chiameranno assassini. Un' altra categoria tornata in auge, molto più degli operatori sanitari, è quella dei musici, quelli da balcone, da terrazza, da piazza. Suonatori di trombe, trombette e tromboni, violini, violoncelli e viole d'amore, l'Inno di Mameli - che tempo fa qualcuno voleva cancellare - ormai è il più gettonato, storpiato e stonato, al garrire del Tricolore, come non avveniva più dagli ultimi mondiali della pedata (quelli vinti, perchè quelli persi non meritano né inno né tricolore ma solo insulti a giocatori e allenatore). E poi i cantanti, e te pareva: Bocelli, del tutto casualmente, improvvisa (? le telecamere erano lì, per caso) un concerto lirico in Piazza del Duomo, e allora il melodico con l'immancabile cappelletto bianco en coppa canta anche lui, attentissimo a farsi riprendere. Non sarebbe ora di smetterla? Il troppo stroppia.

Facciamo un po' silenzio e riflettiamo su quello che ci è franato sulla testa e, ancor più, su quello che ci aspetta. Chiudiamo gli a-social (visto che non li chiudono coloro che con questi strumenti fanno i miliardi di dollari a palate) e non ascoltiamo le bestie ringhiose che li popolano, e li popoleranno, perchè non cambierà assolutamente nulla nel 2021, 2022, 2035, 2052. Ascoltiamo invece la voce del silenzio. E per ascoltarla, il  miglior modo è la lettura. 

Mi permetto di trascrivere brani di opinioni che ho incontrato leggendo. Voi fatene quel che volete.

Il vuoto e il pieno, di Marco Damilano, direttore de «L'Espresso» - "...quando verrà il tempo della ricostruzione, non sarà il tempo dei tecnici, ma dei servitori civili che abbiano un'idea dello Stato e della società, che sappiano curare e risanare le ferite di una nazione oggi preoccupata e civile, domani disperata e rabbiosa. Una classe dirigente, non un solo leader, che sappia parlare davanti a una piazza vuota. Che sappia abitare il paesaggio da ripopolare con la stessa dignità dimostrata dagli italiani in questi giorni, Che dimostri un frammento di coraggio e il senso di umanità che accumuna chi lotta per non morire e chi aiuta a vivere negli ospedali di Bergamo, Brescia, Piacenza, e nelle terre d'Italia. Quella stretta di mano  (allude alla copertina della rivista fatta con una emozionante foto di Sergio Ramazzotti, n.d.r.) è un patto che stipuliamo e che non dovremo tradire. Nelle nostre mani".

Voglia di dopo, da una intervista a Ilvo Diamanti, docente all'Università di Urbino: "...in democrazia non si può rinunciare alle autorità centrali.Non dico in determinati momenti ma anche per determinate materie. Questo sta emergendo in modo chiaro. Oggi il ruolo delle autorità centrali, a prescindere dalla loro qualità, viene valorizzato. Rischiamo di rimettere in discussione la democrazia liberale".

Voglia di dopo, da una intervista a Nando Pagnoncelli, presidente IPSOS, ricerche di mercato e sondaggi sull'opinione pubblica: "Oggi ci si chiede: dove è lo Stato? E non: dove è la mia Regione?...la questione dell'uomo forte di cui si rivendica il decisionismo...Da Craxi in poi per arrivare fino a Renzi si adora l'uomo forte. Ma se non decide quello che vuoi tu l'uomo forte diventa autoritario e non piace più...".

Alla prossima.


Ma meritiamo davvero una seconda chance?

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Queste foto mi sono state girate dalla mia amica Nathalie, una cara persona con cui ho lavorato oltre diciannove anni alla Federazione internazionale di atletica, nella sede del Principato di Monaco. Lei dirigeva il nostro ufficio viaggi, e lo dirige tuttora. Vive a Nizza. Le foto, penso scattate da quelle parti (il cappellino dell'uomo che espone i terrificanti trofei porta il logo CA che dovrebbe stare per Crédit Agricole, una banca francese, c'è qualche filiale anche nel Bresciano), non lasciano dubbi: credo che non ci voglia il traduttore per capire la domanda che comunque ho riassunto nel titolo. Siamo troppo bestie, meritiamo di molto peggio del Covid - 19. È triste, angosciante, ma è così

L'immagine può contenere: una o più persone e spazio all'aperto, possibile testo seguente "Et la question principale reste Est-ce qu'on mérite vraiment une seconde chance ? A AOUINA"

L'indipendenza dello sport... Da che? Da chi?

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Ho finito di leggere un libro del prof. Sergio Giuntini, preparatissimo studioso del fenomeno sportivo. Libro datato, pubblicato nel 2008, ma di estrema attualità, anche alla luce delle vicende che stiamo vivendo in questi mesi. Ci hanno raccontato, e continuano a raccontarci, di uno sport indipendente dalla politica. Anche qualche tempo fa abbiamo ascoltato questa favoletta in occasione di un braccio di ferro politica - sport, dove in ballo c'erano quattrini, altro che indipendenza, ideali sportivi, e balle varie. Uno sport sempre più intorcigliato nel dominio del quattrino, nella logica capitalistica che regna ovunque. Il libro di Giuntini serve a rileggere tante vicende sportive a partire dallo spartiacque dell'anno 1968, la contestazione, i pugni chiusi di Tommie Smth e John Carlos sul podio olimpico di Ciudad de Mèxico. Non è servito a molto, basta guardarsi attorno. La recensione del libro sta alla voce «Cartastorie».

Lo sport ha bisogno di uno scenario nuovo

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Questa immagine mi riporta al 5 agosto 2016, alle tribune dello stadio Maracaná di Rio de Janeiro, dove, insieme al mio amico Carlos Fernández Canet, assistevo alla cerimonia di apertura della XXXI Olimpiade. La bella , immaginifica foto fu scattata da Carlos

Daniele Poto, giornalista e autore di libri, che mi offre, di tanto in tanto, una sua apprezzata «opinione» su argomenti che ci hanno coinvolto professionalmente, il giornalismo e lo sport, mi / ci, offre una riflessione che sostanzialemente è una domanda: cosa succederà dopo? Come sarà il day after? Mi ha chiesto di dire anche la mia, a fianco alla sua. Lo farò, ma desidero che prima, chi vuol leggere, legga Daniele, libero da altri condizionamenti. Se poi qualcuno volesse dire anche la sua, lo faccia. Evitate però di scrivermi e di dirmi "lo dico a te ma non è da pubblicare". Allora fate a meno, per favore.

Siamo più preoccupati per il futuro che per il presente. Andrà tutto bene? Abbiamo paura che possa andare peggio quando riprenderemo la normale attività. Già ma come usare la definizione “normale” perché per l’homo sapiens la vita non potrà più essere la stessa, non potrà più essere normale. Dove sono finite le discussioni sul Pil, sulla crescita, sul terrorismo e sulle sardine? Tutte spazzate via da un’esigenza primaria, quella di sopravvivere. E se parliamo di sport, e per quello che più ci interessa di atletica leggera, ci accorgiamo di parlare di un mondo piccolo e ci sentiamo quasi meschini a parlare di ripresa degli allenamenti, di speranze per entrare in una finale olimpica o del duello per la presidenza della FIDAL. La crisi emergenziale ci ha fatto accorgere quanto sia fragile e si sia gonfiato come un’enorme bolla economica questo mondo costruito col business, con professionisti miliardari che alla faccia di De Coubertin e dei suoi sodali, partecipano ai Giochi Olimpici solo se opportunamente remunerati con una fiche d’ingresso o un arricchimento di prestigio, con personaggi dello star system riabilitati dopo provate infrazioni all’antidoping.

Onestamente non vorremo essere nei panni dei colleghi giornalisti sportivi in attività. Sto comprando più quotidiani del solito ma la leggerezza dei temi è disarmante e costruirà di rimbalzo una nuova fuga del lettore dalla carta stampata. Ci si arrangia con anniversari, revival su Owens, stucchevoli descrizioni di come trascorrono la giornata i campioni. Un Grande Fratello sportivo a misura di condominio. Perché si prova a delineare un futuro su cui nessuno ha certezza. Le date scolpite sono quelle della nuova Olimpiade 2021 che per ragioni commerciali sarà iscritta come un evento del 2020 e con lo spostamento a catena delle grandi manifestazioni mondiali. Un anno sabbatico con una grande incertezza per lo svolgimento dei tornei nonché per il completamento delle operazioni di qualificazione per i Giochi. Tanta fatica per nulla per quelli di calcio, basket, pallavolo e pallanuoto?

Ma la riflessione, nel periodo di attesa, non può che criticare lo smodato gigantismo con cui le istituzioni sportive hanno partorito autentici mostri. Nel basket la squadra di Milano, dove Armani investe o disinveste milioni a palate,  oltre all’ordinario campionato nostrano doveva sobbarcarsi qualcosa come 34 partite di Eurolega per eventualmente qualificarsi nei playoff riservati alle prime otto? C’è qualcosa di diverso dall’elefantiasi della NBA? E come recuperare ora che il coronavirus ha ingoiato mesi di svolgimento?

Il cambiamento dopo la pandemia può avvenire dentro di noi. Ma c’è bisogno che questa potenzialità si eserciti a un livello collettivo con una palingenesi attesa e quasi inevitabile. Un grande esercizio di realismo per un  mondo che non potrà più essere come quello di prima. C’è da creare un nuovo modello, un nuovo asset, un nuovo approccio. E lo sport non potrà rifiutarsi a questa necessaria riconversione. Criteri e modalità tutti da stabilire. Ma con una pregiudiziale perché non si potrà evitare di ascoltare le parole più autorevole, quella degli atleti. Una costruzione dal basso che ridimensioni gigantismo, business, enfasi sui diritti televisivi. Forse stiamo sognando ma la storia è stata fatta anche di grandi utopie. A volte realizzate.

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