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Sono un temerario, vi dò appuntamento al 2020

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A tutti coloro che per amicizia, per compassione, per caso, per sbaglio,

leggono, o hanno letto, e continuano a leggere, o a guardare, queste miserrime pagine,

invio, a nome mio e del mio amico Monte Pizzocolo,

1581 metri di auguri per queste Festività

che incombono con la stessa imponenza della mia montagna.

Incantesimo, incantesimi, sul Montegargnano

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Formato extra large, ma la imponente mole del Monte Pizzocolo lo richiedeva. La copertina, armonizzata da Roberto Scolari, produce il primo notevole impatto. Mi ero entusiasmato all'idea circa due anni fa: produrre un calendario tutto dedicato al fascino della zona di mezza montagna e montagna che sta sopra Gargnano, lago di Garda. Dal 2017 sono venuto ad abitare stabilmente a Navazzo, una delle frazioni. Il mio cortile sta a 488 metri, come indica il congegno della mia auto Peugeot 2008, la terrazza dove passo il tempo leggendo e prendendo il sole (due attività di cui avevo dimenticato la piacevolezza) è qualche metro più alto, ovviamente. Davanti, mi godo lo spettacolo del Monte Pizzocolo, 1.581 metri, come dicono le mappe.

La mia idea ha trovato interpreti sensibili, appassionati, convinti. Sono tre amici da lungo tempo: Chantal e Marco Peiano, figli di due preziosissime persone come Giuseppina e Luciano cui mi lega lungo affetto e riconoscenza, e Pietro Delpero, marito di Chantal. Esercitano tutti mestieri diversi, ma li accomuna identica passione per la fotografia,e insieme ad altri amici hanno una loro associazione, parecchio attiva (Rullini a vento, il nome originale). Dunque, Chantal, Marco e Pietro, gambe in spalla, si sono sciroppati un bel numero di chilometri, in tutti i borghi, i sentieri, gli angoli affascinanti. Una mole notevole di materiale da ammirare, selezionare, scartare (operazione non facile), impaginare. Per dare l'idea complessiva del lavoro fatto, hanno creato un filmato di una decina di minuti che ha riscosso un notevole successo.

Calendario e filmato presentati, nella sala dell'Hotel Tre Punte, a Navazzo,  ad amici ed amministratori locali. Sottofondo musicale del cecoclovacco Bedrich Smetana, dal primo dei suoi poemi sinfonici cui diede il titolo «Ma Vlast», la mia patria, che è poi il senso della mia idea: dopo tanto girovagare, sono approdato qui, e questa è adesso la mia terra. 

La prima copia del calendario è stata consegnata a un ospite speciale: il signor Angelo, abitante di Navazzo, che da lì a pochi giorni avrebbe festeggiato, in ottima salute, il 96esimo compleanno. Bianco e rosso (che poi sono i colori del Comune di Gargnano, ma anche di Piacenza e del Principato di Monaco, altre mie «patrie») della Azienda Agricola Peri Bigogno hanno consolato la commozione (non trattenuta, come invece si dovrebbe) di qualcuno; un bel risotto con i funghi, preparato dalla «Brigata Alimentare» del Ristorante Running Club, ha fatto il resto. Svanita tutta la commozione!

E il Pizzocolo, pur nascosto da capricciose nuvole basse, sbirciava soddisfatto, anche lui un po' commosso - e giù acqua - per questa gradita notorietà.

In aggiunta alle quattro foto che vedete qui, scattate durante la chiacchierata da Giovanni Romano ed Elena Belpietro, cliccando sui loro nomi potete trovare, per ciascuno, due ampi servizi fotografici. A loro il mio personale ringraziamento e quello dei loro amici Marco, Pietro a Chantal. Riprodotto anche l'articolo del «Giornale di Brescia», a firma di Franco Mondini. Nelle quattro foto, in senso rotatorio, da sinistra: Encarnita e Ottavio consegnano la prima copia del calendario ad Angelo Zanini; Pietro Delpero nel suo intervento si è detto affascinato dalla bellezza di questo territorio nell'entroterra gargnanese che merita di essere conosciuto meglio; nella penombra, sullo sfondo delle sue montagne, Franco Ghitti, sicuramente uno degli uomini che meglio conosce questa natura; e infine i quattro ideatori e realizzatori del calendario: Chantal, Pietro, Ottavio e Marco.

 

Società militari nello sport: roba da guerra fredda

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Una bella immagine (Foto A.R.T.) del poderoso lanciatore di peso, primatista del mondo e campione olimpico ai Giochi di Los Angeles '84, Alessandro Andrei con la maglia amaranto, come la Topolino della canzone di Paolo Conte, della Polizia, meglio conosciuta nel mondo dell'atletica come Fiamme Oro Padova. Le altre sono le Fiamme Gialle (Finanza) e le Fiamme Azzurre (Polizia Penitenziaria)

Annosa, dibattuta, irrisolta questione dell'atletica italiana, e di tutte le discipline sportive in genere: società militari sì, società militari no. Se ne parla, se ne mugugna soprattutto - antica malattia dell'atletica italiana - ma il problema, se problema esiste, non si schioda. Il nostro columnist (e vai!) Daniele Poto ha ritirato fuori il tema, in vista delle elezioni del presidente e del Consiglio Federale a fine 2020, come sempre a Giochi Olimpici archiviati. Manca più di un anno, ma è anche più di un anno che si fanno nomi di pretendenti veri, finti, presunti, fantasiosi. Avanti di questo passo, saranno in maggioranza i candidati alla presidenza FIDAL rispetto agli atleti da mandare ai Giochi Olimpici Tokyo 2020 con qualche possibilità di ben figurare. Vabbuó, leggiamo quello che Daniele Poto ha da dire. Se mai ci fosse qualcun altro che vuol dire la sua, si faccia avanti.

Sport di Stato, ci ricorda la vecchia DDR

di Daniele Poto

Una questione vecchia sul tavolo della riformanda atletica italiana. Ma irrisolta. Il predominio (l’invadenza) delle società militari nello sport di vertice ha raggiunto picchi percentuali paragonabili alla leadership dello sport di Stato nella vecchia DDR, oggi rievocata in coincidenza del trentennale dell’abbattimento del famigerato muro di Berlino. Non vorremo ripetere la coincidenza in materia di doping anche se pure qualche caso si affaccia con modalità imbarazzanti per i Comandi.  I gruppi sportivi con le stellette non danno neanche il tempo al talento di sbocciare e di maturare nell’ambiente di origine che, con un veloce arruolamento, lo riciclano sotto le proprie dominanti insegne.

Sono i club che regalano medaglie olimpiche, divise indossate raramente in coincidenza di qualche festività ma anche una valanga di ragione demotivanti che fa si che la maggio parte dei tesserati consideri il servizio militare una sinecura per guadagnare lo stipendio alla fine del mese. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti. Una certa maniera dopolavoristica di considerare lo sport è invalsa a regime tra le abitudini dell’agonismo nostrano in salsa militare. A meno di non interpretarla in altre accezione. Come un autobus da cui è opportuno scendere al momento opportuno (v. Alberto Tomba) abbracciando i vantaggi del campionismo mediatico. Ha fatto discutere il recente arruolamento da parte dei Carabinieri (più che mai nell’occhio del ciclone per qualche scandalo interno non proprio trascurabile, v. caso Cucchi, v. caso Serena Mollicone) di diciassettenni. Dunque anche i minorenni non sono risparmiati da questa precocissima trasformazione di sigle.

Ci piacerebbe soddisfare qualche curiosità. Quanti giorni ha trascorso in una caserma Libania Grenot, cubana che fino a che era in attività si allenava in altro continente, con allenatore non italiano, libera da ogni vincolo tecnico con la Fidal e con i finanzieri, salvo comparire in qualche passerella ufficiale come un militare qualunque? Per caso il suo ridotto rendimento negli ultimi anni di carriera non sarà proprio dipeso da questo eccessivo permissivismo? L’invadenza partecipativa ha evidentemente un corrispettivo anche sul fronte dirigenziale. Gianni Gola è stato presidente della Fidal come il suo omologo Valentino per la Fisi. E oggi il generale Parrinello, onnipresente negli organigrammi delle ultime gestioni, aspira a un salto di qualità candidandosi per la presidenza, pronto a riconvertirsi in una delle tante cordate esistenti.

L’impostazione del CONI con presidenti vari ha sempre incoraggiato questa primazia dello sport militare. Che andrebbe bene se fossero valorizzate nei contributi (non solo economici) i club civili che un tempo potevano contendere a poliziotti, finanzieri, agenti di custodia, la pole position nei campionati società. Sono gli stessi dirigenti che li guidano (o li guidavano, la generazione è al tramonto), depressi, anziani se non addirittura defunti che hanno visto azzerati meeting e manifestazioni in ragione anche di questo monopolio. Se usciamo fuori dai confini di Chiasso (Francia, Germania) ci accorgiamo che il sistema sportivo occidentale non è così caratterizzato da questo meccanismo. Pagante? Diremo di no vedendo i risultati di Olimpiade, mondiali, europei dove la partecipazione è stata quantitativa e non qualitativa. Con una gran massa di atleti militari (due su tre ai mondiali di Doha) eliminati al primo turno. Quando verrà il momento di una revisione e di autocritica su un bilancio decisamente fallimentare? Certo non ci si potrà attendere che CONI e Federazioni auto-emendano questa ragione esogena che porta riconoscimenti e medaglie ma anche tanta zavorra. Con stipendi correnti che alla fine vengono pagati dalla collettività e senza restituzioni alcuna. La metafora perfetta di quelle che logisticamente sono le “servitù militari”.

Io gioco nella stessa squadra di Gianni Mura

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Letta domenica 24 novembre, pagina 45 di «la Repubblica», nella rubrica «Sette giorni di cattivi pensieri» firmata da Gianni Mura, uno dei non moltissimi giornalisti che sanno scrivere di sport, e non solo, che ancora riesco a leggere con piacere. Riscrivo il brano che faccio mio.

"Nei giorni scorsi ho letto e riletto una pagina di questo giornale. Letto per interesse e riletto per capire meglio la portata di quello che avevo letto. Dalla prima di ritorno, il 19 gennaio, la Lega farà trovare sulle panchine della Serie A un tablet con il software "Virtual Coach", che aiuterà gli allenatori (parola decaduta) a lavorare meglio. Se io fossi un coach con un minimo di autostima so già che fine farebbe il tablet. Ma non sono un coach e per dirla tutta non possiedo un tablet né intendo disporne in futuro. Già un cellulare, dal mio modesto punto di vista, guasta abbastanza la vita. Quello ce l'ho. Secondo i colleghi più attenti alle parole, è di un modello che nemmeno le badanti moldave prenderebbero in considerazione, ma non m'importa. Anzi, tramite uno dei colleghi me ne sono procurati quattro, se mai smettessero di produrli ho le spalle coperte. Dico questo per chiarire la mia posizione".

Che è anche la mia. Quanto poi al "Virtual Coach", non le è venuto il sospetto, signor Gianni, che sia una astuta manovra dei presidenti delle squadre di calcio, che affogano nei debiti? Sai quante centinaia di milioni risparmierebbero con il tablet (in più offerto gratis dalla Lega), visti i vergognosi, immorali, compensi che - dicono, sarà poi vero? - pagano agli allenatori? Se penso che il tono dei commenti era del tipo "santo subito" per il signor Roberto Mancini che aveva accettato un compenso miserello, mi sembra di ricordare due milioni l'anno per guidare la Nazionale italiana di calcio. Certo, in Russia, nello Zenit di San Pietroburgo (me par), ne intascava cinque. Che cosa non si fa per la Madre Patria! Signor Roberto, occhio però, continui a vincere (finora si è dimostrato bravo in questo) altrimenti arriva il "Virtual Coach" e addio ai due milioncini. 

Ezio Greggio, un gesto di grande senso civile

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La vicenda (forse) è nota a molti. I nomi dei protagonisti sono quelli della senatrice Liliana Segre e del conduttore televisivo Ezio Greggio. Dovrei associare a loro anche quello di un tal sindaco di una città dove, tra l'altro ho lavorato e che ricordo con affetto. Ma se scrivessi il suo nome accanto a quelli che ho citato sarebbe un insulto.

Mi limito a riportare nomi e azioni di persone degne di far parte del consesso civile. Le parole che seguono sono estrapolate da una dichiarazione rilasciata da Ezio Greggio, dichiarazione e decisione che gli rende onore. 

"Il mio rispetto nei confronti della senatrice Liliana Segre, per tutto ciò che rappresenta, per la storia, i ricordi e il valore della memoria, mi spingono a fare un passo indietro e non poter accettare questa onorificenza che il Comune di Biella aveva pensato per me. Non è una scelta contro nessuno, ma una scelta a favore di qualcuno, anche per coerenza e rispetto a quelli che sono i miei valori, la storia della mia famiglia e a mio padre che ha trascorso diversi anni nei campi di concentramento".

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