...non servono tante parole e spiegazioni
Ringrazio il mio amico Carmine, di Catania, grande appassionato di atletica, tra gli altri molti interessi, che mi ha girato questa «massima» apparsa sul sito «Born to be wild». Non c'è niente da aggiungere, questa è la realtà fossilizzata nella storia (questa sì Storia con la lettera iniziale maiuscola) del nostro Paese.
Un alito di gioventù sulle vele bresciane
GARGNANO – Mentre il Club della «Centomiglia del Garda» (in programma il 7-8 settembre) si prepara a presentare le novità della 69esima edizione della sua regata per eccellenza (#probabilmente le regata più bella del mondo), di sicuro la gara velica più longeva d’Italia, i suoi giovani sono alla vigilia del Campionato mondiale del doppio «Rs Feva», che si correrà dal 22 al 27 luglio nelle acque tirreniche di Follonica. Tra i 200 concorrenti di 40 Nazioni ci sarà la compagine del Circolo Vela Gargnano che vanta una lunga tradizione, a cominciare dal Mondiale vinto nel 2012 da Luca Virgenti (come prodiere di Leonardo Stocchero) e quello femminile del 2013 con Andrea Francesca Dall’Ora (come prodiere della sebina Margherita Porro). Nel team gargnanese ci sono Riccardo Andreoli e Lorenzo Rossi, campioni italiani Under 19 nel 2018, oltre a Emilia Salvatore (Fraglia Desenzano) e Annalisa Vicentini, campioni italiani 2018 negli Under 12. La compagine è completata da Andrea Casagrande – Leonardo Ceruti , Jacopo Albini – Luca Venturelli, Letizia Tonoli – Nina Folonari, Paolo Rapuzzi – Giancarlo Folonari, Lodovica Cerutti – Pietro Del Pesce, Gabriele Grosso (CVG) – Thomas Rodriguez (ANS Sulzano), Tommaso Acerbis (ANS) – Alessio Vicentini (CVG). Lo staff dei coach è composto da Andrea Francesca Dall’Ora e Paolo Virgenti, e per i team misti Gargnano-Ans Sulzano da Gabriele Foschini e Aldo Rinaldi.
Correte carabinieri: hanno violentato la storia
“Nemmeno io ero nato quando abbiamo perso Cuba, eppure ho sempre saputo benissimo chi fossero Weyler o Polavieja. Non gli insegnano più la storia, Pepe. Conoscere la storia è mal visto. La gente vive alla giornata e non tiene quasi in conto quel che è accaduto appena ieri. Non c’è posto in questo mondo per la gente con memoria”.
La frase che riporto è presa dal romanzo “La Rosa di Alessandria”. Questa è la saggia risposta del lustrascarpe Bromuro, che aveva la sua sede lavorativa (la strada, vista la peculiarità della professione) all’angolo di calle Escudillers (siamo nel Barrio Gotico di Barcellona, una zona bellissima che è andata decadendo a vista d’occhio), in un dialogo con il suo grande amico, il detective Pepe Carvalho, protagonista dei bei romanzi politico-sociali-polizieschi di Manuel Vázquez Montalbán (Barcellona 1939 – Bangkok 2003), uno scrittore che ho apprezzato molto e di cui ho letto tanto.
Devo dire che le parole di Bromuro mi sono rimaste stampigliate nella memoria fin dalla prima lettura. Si sono messe a lampeggiare come una insegna luminosa causa l’osceno stupro continuato che si fa dalla parola «storia», pur con la lettera iniziale minuscola, è diventato, per me, qualcosa di insopportabile. Storia, un sostantivo che dovrebbe incutere rispetto. E, al contrario, lo sodomizzano. Mi fa schifo la leggerezza, la incosciente disinvoltura con la quale viene usata, specie dai cosiddetti mezzi di informazione, i paludati media. Io cambierei in «medio-cri». Soprattutto quando sento usare il sostantivo o l’aggettivo dissertando banalmente di una qualsiasi attività sportiva. Mi provoca molto più che disagio sentir dire che un risultato sportivo è «storico», oppure che un tal atleta è una «leggenda» o un «mito», che è «entrato nella storia». Iperboli di un vocabolario sportivo ripetitivo, obsoleto, esagerato, iperboli di scribacchini che hanno una povertà di linguaggio avvilente.
Ho letto su un sito in linea di un importante quotidiano nazionale: la tale «fa ancora la storia». La tale è un gentile signora / signorina (non lo so, ma oggi non conta più, per fortuna) che ha trascorso buona parte della sua vita (secondo il Divin Poeta avrebbe già superato «il mezzo del cammin») tirando palline al di là di una reticella. Ma ancor peggio. Sorseggiando un caffè che era un piacere, una volta, era tanto tempo fa, e oggi è una sbroda fatta da ragazze e ragazzi che, pur avendo una laurea in tasca, devono guadagnarsi qualche centinaio di euro per tirar a campare e si inventano baristi, ho sfogliato un quotidiano locale delle mie latitudini. Fulminazione: titolo a tutta pagina, il tale «partecipa al Tour de France per entrare nella storia». Il tale, ovviamente, si guadagna da vivere pedalando come un forsennato da quando era poco più che un bambino.
E mentre assistiamo a questa orgia di straordinarie esibizioni sportive che entreranno nel gran libro di storia (quale non è ancora chiaro) ci sono stati studenti che, orsono pochi giorni, interrogati alla domanda «chi ha liberato Mussolini?» hanno risposto «i partigiani». La storia avanza a grandi passi. Nei titoli dei giornali sportivi. Tanto che, di fronte a questa fame di storia questi qua che ci sono adesso hanno pensato bene di togliere la prova di storia dall'esame di maturità. Certo che gli ha detto male se tornano in auge i partigiani che liberano Mussolini...
Chiudiamo Lampedusa, lasciamo aperta Venezia
Un altro brivido ieri lungo i canali di Venezia. Protagonista l'ennesimo mostro del mare che sfiora la catastrofe. A poche settimane (era il 2 giugno) da un altro disastro evitato per miracolo. Ebbene? Chiacchiere, ciacole, ciacole, dichiarazioni, anzi tweet, questa buffonata con la quale si dicono cazzate tanto non hai nessuno davanti che ti sputa in faccia. Passata la festa, gabbato lu santo. Fino alla prossima volta, cioè ieri, domenica 7 luglio. E questo da anni. Ormai potremmo aprire il betting per scommettere quanto tempo dovremo aspettare per assistere ad una tragedia, che naturalmente non mi auguro, ma avanti di questo passo, una volta o l'altra...Ho trovato questo filmato che, oltre alle terrificanti immagini, la dice lunga sullo stato d'animo di chi assiste da vicino a una scena di tale impatto. E non è la prima. Una voce ripete decine di volte l'epitteto...ma ascoltatelo, ne vale la pena. Credete che succederà qualcosa? Che verrà presa una decisione? In occasione del precedente incidente, quello del 2 giugno, lo stesso giorno, due ministri di questo fantastico governo che ci ritroviamo fecero sapere che «entro giugno ci sarà una soluzione alternativa per il passaggio delle grandi navi a Venezia». Giugno, certo, di che anno? Annunci, ascoltiamo solo annunci, sembra il vecchio e mai dimenticato Carosello. Decisione che è poi una sola. Evidentemente non è bastata la strage dell'Isola del Giglio di sette anni fa (32 morti) a smuovere le coscenze. Ma non c'è tempo per 'ste sciocchezzuole. Non disturbate il manovratore che dedica tutto il suo a chiudere il traffico portuale a Lampedusa e dintorni, o a farsi i selfie. Venezia? cacchio è Venezia? Non è un mio problema, ci pensino i miei colleghi. E poi che palle: 'sti neri, mori, colorati invece di arrivare con delle barchette che vanno sempre a fondo, si decidano ad arrivare con grandi navi, così li facciamo sbarcare non a Lampedusa ma a Venezia, e non se ne parla più. Un'altra da morire dal ridere: si chiude Venezia ai pedoni, troppi, non se ne può più! Stesso problema alle Cinque Terre, stesso sul lago di Garda. Poi se un anno le statistiche dicono che il turismo è calato dello zero virgola, chi li sente gli albergatori, i ristoratori, i gelatai, i pizzicagnoli? Quest'anno, per entrare a Venezia, si devono pagare tre euro indistintamente, dall'anno prossimo ci sarà un meccanismo a bollini, le tariffe andranno da sei a dieci euro a seconda dei giorni. Dal 2022 bisognerà prenotare in anticipo. L'importante è pagare. Com'è Deliziosa Venezia! Solo come annotazione: il mammuth del 2 giugno si chiamava Opera, quello del Giglio Concordia, tutte barchette dello stesso armatore.
ULTIMA ORA - Leggo adesso una notizia che ha questo titolo:«Il sindaco: la colpa è del ministro Toninelli. La replica: Brugnaro straparla». Avevate dei dubbi? Secondo voi questo qua che definiscono ministro che mezzo ha scelto per replicare e insultare? Chi risponde correttamente riceverà una foto con dedica del suddetto alla guida del suo SUV che non inquina o mentre potenzia gli addominali in palestra.
La foto (che uso a sua insaputa) la cui prospettiva, già da sola incute un senso di angoscia, è opera di Gianni Berengo Gardin, unanimemente considerato uno dei più grandi fotografi del mondo. Negli anni scorsi, il Maestro aveva lavorato al tema «Grandi navi a Venezia». Era stato invitato - siamo se non sbaglio nel 2015 - ad allestire una mostra con questi scatti a Palazzo Ducale. Ma il sindaco si oppose e bloccò la mostra, che comunque ebbe ovunque un successo strepitoso. In quella occasione Berengo Gardin scrisse una lettera aperta al sindaco, lettera che qui riproduco integralmente. Il titolo della lettera dice «Alcune cose che vorrei dire al sindaco...».
" Mi dispiace molto quando qualcuno si dà la zappa sui piedi, mi dispiace quindi anche per il sindaco di Venezia. Gli sono anche molto grato, perché bloccando la mia mostra a Palazzo Ducale mi ha fatto un grande favore: tutti i giornali italiani e stranieri (Le Monde, il Guardian, El Pais, il New York Times e molti altri) ne hanno parlato diffusamente. È probabile che, se non ci fosse stata tutta questa attenzione da parte della stampa, la mostra sarebbe stata vista da molte meno persone. Devo essere grato a Celentano e a tutti gli artisti, architetti, uomini di cultura e semplici cittadini che hanno preso le mie difese. Devo inoltre ringraziare Roberto Koch e Alessandra Mauro della Fondazione Forma, curatori della mostra e del libro, senza il cui impegno questa mostra non si sarebbe fatta. E naturalmente il FAI.
Sono doppiamente felice che il FAI mi abbia invitato a esporre le mie fotografie nel Negozio Olivetti di Piazza San Marco: ho fotografato diverse opere per l’architetto Carlo Scarpa che ne è stato il progettista e per oltre 15 anni ho lavorato per l’Olivetti.
Il sindaco Brugnaro mi ha insultato più volte: mi ha dato dello “sfigato”, dell’“intellettuale da strapazzo”, del “Solone”. Ha detto che avrei denigrato Venezia, mi ha definito un “intoccabile”– non lo sapevo, lo ringrazio di avermelo fatto sapere – e se l’è presa con me perché ho il doppio cognome.
Non voglio mettermi sul suo stesso piano, ma un paio di cose vorrei le sapesse.
La mia famiglia è veneziana da cinque generazioni, per tre abbiamo gestito un negozio di artigianato veneziano e perle in Calle Larga San Marco. I Berengo Gardin e il negozio sono citati già nel 1905 dallo scrittore Frederick Rolfe Baron Corvo nel suo libro su Venezia “Il desiderio e la ricerca del tutto”. La casa dei nonni affacciava su Piazzetta dei Leoncini, mio padre è praticamente nato in Piazza San Marco, e io, anche se sono nato per i casi della vita a S. Margherita Ligure, ho vissuto 30 anni a Venezia. Mia moglie è veneziana e i miei figli sono nati a Venezia. Per questo, il problema del passaggio delle grandi navi mi sta particolarmente a cuore: perché mi sento venezianissimo. Forse il sindaco non sa, inoltre, che a Venezia ho dedicato ben 10 libri, esaltandone in tutti i modi la bellezza, a partire da uno dei miei primi, Venise de Saison pubblicato nel 1965.
Per quanto poi riguarda l’accusa di aver usato “chissà quali teleobiettivi” per creare effetti artificiosi, vorrei sottolineare il fatto che ho addirittura dovuto utilizzare dei grandangoli, perché le navi erano così grandi che non entravano nel mirino della macchina. Solo in alcuni casi ho usato un 90 millimetri, che non è teleobiettivo.
Per finire, il sindaco Brugnaro dovrebbe conoscere la Costituzione Italiana, che all’art. 21 dice: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
I colori dell'Italia, tanti, diversi, ma affascinanti
Il testo che pubblico oggi lo ha scritto Ruggero Alcanterini, una persona che ho incrociato nella mia vita gran parte spesa nello sport. Credo che, oggi, a parte i resistenti della mia cricca, non molti sanno chi è stato Ruggero nel mondo dell'atletica e dello sport italiano. Fu, per molti anni, consigliere nazionale della Federatletica nel lungo regno di Re Primo (Nebiolo), in quel Consiglio lui era in quota A.I.C.S.. Ha ricoperto anche altri ruoli in organismi sportivi nazionali; ha scritto, ha diretto riviste, ha promosso convegni e mostre, ha continuato ad occuparsi dello sport italiano. Soprattutto - mi dicono amici romani che hanno fraterna frequentazione con lui - ha una sterminata collezione sportiva, dove c'è di tutto, e questo mi dà una invidia...Ha un suo blog, dove regolarmente scrive pensieri, ricordi, che mi riportano alla mente personaggi che anche io ho conosciuto veleggiando nell'atletica. Gli ho chiesto il permesso di ricopiare in questo mio microcosmo questo suo pensiero di qualche giorna fa. Me lo ha immediatamente concesso, lo ringrazio. E, lo dico soprattutto a me stesso, a quella cerimonia allo Stadio Olimpico nel 1987, c'ero anch'io. Già poterlo dire, è un bel risultato.
Quando nel 1987 dipingemmo il meglio dell’Italia, l’essenza della sua cultura popolare, attraverso la caleidoscopica cerimonia di apertura dei Campionati del mondo di atletica, quel titolo, appunto “I colori dell’Italia”, rappresentava la sintesi delle sue diversità, quelle che la rendono da sempre complessa, complicata, ma affascinante ed unica, com’è apparsa qualche giorno fa, dallo Stromboli in subbuglio al Vesuvio in festa, per la fantasmagoria “nebiolesca” delle Universiadi, mentre lo spread puntualmente calava a fronte del cambio della guardia e delle tensioni a Bruxelles, anche con l'elezione di Davide Sassoli e di Fabio Massimo Castaldo a presidente e vice del Parlamento Europeo.
Sì, a Napoli, l’Italico Stivale, di cui proprio Primo Nebiolo, patron storico delle Universiadi, è stato emblematico mentore, orgoglioso della sua appartenenza, si è fatto sentire, rigurgitando dai vulcani le schifezze che lo intossicano, dal pattume soverchiante di Roma alle migliaia di bubboni suppuranti , piaghe da evitare e curare, dalle discariche mefitiche del Casertano, alle bombe all’asbesto innescate e pronte ad esplodere, come la Eco X di Pomezia, le grandi infrastrutture obsolete come il «Morandi» a Genova , piuttosto che gli stabilimenti a rischio, come il «colorificio» di Brendola, andato in fumo nel Vicentino, quando peraltro incombeva il procedimento europeo per infrazione e la Sea Watch approdava a Lampedusa, mettendo in barzelletta la nostra sovranità.
Adesso, semmai fosse accettabile una conclusione del genere, la «pietra tombale» sulla questione immigrati, clandestini o meno, l’ha messa in modo sinistro il bombardamento del centro per migranti di Tajoura, a Tripoli, dove i morti ed i feriti non si finiranno mai di contare, e dove l’ONU ha fatto rimarcare la sua impotenza ed inutilità, limitandosi alla ennesima denuncia tra ammissioni, discolpe e veti, che la dicono lunga sul valore di quelle vite, prima, durante e dopo la forzata «odissea della speranza», che continua a disseminare cadaveri tra le sabbie dei deserti africani e le onde del Mare Nostrum.