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Last updateLun, 12 Set 2022 10am

Gian Carlo «Spino» Chittolini, oltre la corsa

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Con questa foto scattata dal mio amico Elio - su mia richiesta - onoro un impegno preso con Gian Carlo Chittolini, il quale mi disse che stava ultimando un libro e che me avrebbe mandato copia  perchè venisse conservata nella mia Collezione, chiamata anche pomposamente «Biblioteca internazionale dell'atletica», ma forse anche non tanto pomposamente visti i «delitti» che gli enti sportivi (poltronifici) fanno della cultura sportiva, ridotta sempre più a strame. Questo mio spazio dimora, serenamente ed orgogliosamente, a Navazzo, frazione di Gargnano, lago di Garda. Contiene atletica, tanta, libri, oggetti, riviste, medaglie, fotografie, poster, opere d'arte, legati al «mio» sport, quello vero, non gli insipidi surrogati di oggi. Accanto, una collezione di libri e memorabilia dei Giochi Olimpici. E, ad abundantiam, qualcosa anche d'altro come ciclismo, rugby, automobilismo, basket, calcio, e altre discipline. 

Dopo questo breve spot autopubblicitario, torniamo a Gian Carlo Chittolini, «Spino» lo chiamano gli amici di Salsomaggiore. Fu atleta - fine anni '60/primi '70 -, mezzofondista, il suo gemello Gian Paolo era più bravo di lui (1'50"5 sugli 800, me par), ma il nostro «Spino» si è preso delle altre grandi soddisfazioni fuori dalla pista, come allenatore. Non voglio farla lunga: per tutti e su tutto valga che per molti anni è stato il Pigmalione tecnico (credo che nessuno ti ha mai chiamato così) di Alessandro Lambruschini da Fucecchio, uno dei nostri migliori interpreti dei 3000 metri con siepi. Una volta rallentata l'attività diciamo didattica sul campo, il Chitolen (alla emiliana) si è dato alla organizzazione di corse pedestri, prima quella maratona dei luoghi verdiani, avete capito bene: quelli dove ancora riecheggiano le note e i gorgheggi di Giuseppe Verdi. Dismessa quella, ecco implicato della UltraKMarathon50km, partenza e arrivo da Salsomaggiore e su e giù per un bel pezzo dell'Appennino parmense.

A questa corsa ha dedicato questo libro che ora ha trovato stabile collocazione in un ripiano della mia libreria, al primo piano (ce ne sono tre, oltre 200 metri quadrati in totale): lo scorcio che vedi in fotografia, caro Gian Carlo, è una parte della decina di scaffali che contengono solo pubblicazioni sulla corsa, sulla maratona, centinaia di risultati ufficiali, compilazioni statistiche, storia di questa disciplina, e forse anche qualcos'altro. Il tuo libro adesso sta lì con gli altri, e si parleranno e ognuno racconterà la sua storia, piccola o grande che sia. Cuntent «Spino»?

La presentazione del libro la trovate nella rubrica CARTASTORIE, quindi non mi ripeto. Spero di essermi guadagnato quattro fette di salame, coppa e pancetta e una bottiglia di Monterosso nella osteria il cui menù emerge dalla nebbia dell'Appennino nella foto galeotta di uno dei bravi fotografi: Quand a s’ suda un bél po, scansa al vént e botón’na ’l paltò”, oppure, dico io, rifugiati all'osteria.


I vaccini nello spensierato paese dei salta-file

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Sapete perchè vogliono accelerare (a parole, nelle conferenze stampe, ne avete di tutti i tipi, c'è solo l'imbarazzo della scelta) la vaccinazione, quella che teoricamente, molto teoricamente (ma è la sola speranza cui possiamo aggrapparci) dovrebbe metterci al sicuro dal COVID-19? Ma, benedetti ragazzi e ragazze (parità di genere, per carità) è lapalissiamo! Per consentire agli italiani/e di andare a giocare a calcetto, italiani/e che smaniano dalla libido di una partita a cinque! Una statistica compilata dalla famosa agenzia di ricerche marketing e indagini di mercato Minchiateagogo S.p.a. ha rilevato senza nessun dubbio che la mancanza della partita settimanale di calcetto è la causa dello stato d'ansia dell'82 per cento degli italiani/e. Da qui la rincorsa non a tirare un rigore, ma a saltare una fila per ricevere la magica pozione dei Druidi angloamericanisvedesirussicinesi. Di questo ci parla Daniele Poto nella sua «cattiveria» di oggi. Siamo sempre stati un Paese di saltatori di file: la coda all'Ufficio Postale, in banca, dal fruttivendolo, al casello dell'autostrada. Così sono prosperate le piccole aziende (oggi si chiamano start up, altra minchiata) che producono quelle macchinette che distribuiscono i numeretti che stabiliscono un ordine che gente civilizzata dovrebbe avere nella sua testa come il DNA. Io sono arrivato a sognare una unica enorme gigantesca macchina distributrice di numeroni per ciascuno di noi per stabilire l'ordine di vaccinazione. Abbiamo abbondantemente superato il limite del ridicolo. Come, purtroppo, ormai capita troppo spesso.

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Di cosa si parla in giro se non di vaccini? Se al momento un italiano su venti è stato toccato dal Covid 19, uno su cinque può ritenersi vaccinato o vaccinando (tra la prima e la seconda dose) mentre quattro/quinti (la maggioranza) sono in lista d’attesa. Ecco l’argomento che accomuna tutti e per tutto e su tutto fa discutere (i ritardi, le conseguenze, le aspettative). Il vaccino non è la panacea scaccia-virus. Lette le percentuali di positività per combattere la pandemia alza le soglie di difesa della società, promuove l’utopia dell’immunità di gregge, si propone come socialmente necessario e moralmente auspicabile in una selva di contraddizioni, di censure su AstraZeneca, di ritardi nelle consegne. L’Unione Europea si mostra (una volta di più) inadeguata nell’emergenza, prendendo una severa lezione dal Regno più che mai Unito che dopo le iniziali difficoltà ha messo a regime una strategia che ha reso sicuro un bel pezzo di continente geografico.

Se l’Italia è il Paese della diseguaglianza economica, omologamente si rivela fortemente discriminante sul versante sanitario. Un malinteso federalismo ha reso precario nel momento di difficoltà istituzionale il rapporto tra Governo e Regioni. Che legiferano e gestiscono la crisi in ordine sparso, con vulnus assortiti. I due estremi, la Lombardia e la Calabria, gli esempi più negativi in una forbice di giudizi e comportamenti variabili. Draghi se l’è presa con chi ha saltato la fila. Non parliamo di poche unità ma di un ordine numerico pari a centinaia di migliaia di persone. Non c’interessa il caso del collega Scanzi ma quello di categorie che sotto l’insegna della protezione hanno scavalcato persino gli ottantenni, sul piano generazionale e sanitario certo i più bisognosi di un pronto vaccino. Si è scatenata l’Italietta del ”Lei non sa chi sono io”, quella che non sarebbe in grado di autogestirsi in una fila ragionata alla fermata dell’autobus, abituale in mezz’Europa, quella delle raccomandazioni.

Un privilegio? Relativo se poi si registrano recrudescenze. Vaccinati che si ammalano o, addirittura, si riammalano. E che effetto protrarrà nel tempo il vaccino, per quanti mesi potremo godere di una relativa tranquillità? La sentenza è ancora da scrivere. Più che scienza nell’orda dei virologi regna l’empirismo. Tra chi si è vaccinato annoveriamo anche gli sportivi militari che evidentemente valgono di più degli sportivi civili e si sono avvalsi della corsia privilegiata di un servizio che nella realtà non viene svolto in una caserma. Legittimo? Tutto da discutere. Non perché sia ingiusto, ma perché vorremo che ci fosse parità di trattamento con gli atleti civili. Sul piano logico non si può pretendere di spedire a Tokyo una squadra azzurra che non sia totalmente vaccinata. Una sterilizzazione da virus è indispensabile per garantire prima di tutto la salute e poi la partecipazione. Non dimentichiamo che la Corea del Nord, non proprio l’ultima del consesso mondiale, si è già chiamata fuori dalla partecipazione olimpica.

Avvistato Pellegrini a cavallo di un Delfino

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Sandro Pellegrini. Se non avessi timore di offenderlo, magari mi toglie seduta stante il saluto, scriverei «Sandro Pellegrini...basta la parola!». Accostamento un po' ardito fra il primo spot pubblicitario del neonato «Carosello», parto ingegnoso della fantasia di Marcello Marchesi reso universale dalla gag di Tino Scotti. Il prodotto reclamizzato era il Confetto Falqui, ma, a quei tempi, in televisione, non si poteva dire chiaramente a cosa serviva, le funzioni corporali erano disdicevoli. Da lì, l'invenzione che fece marameo agli occhiuti censori: «Falqui, basta la parola». Vabbé, detta l'ho detta, vediamo come reagisce l'interessato. Ma, lasciando da parte i prodotti purganti, rimango sulla mia. Tu dici Sandro Pellegrini nei Circoli Vela del Garda, del Sebino, meglio dici Sandro Pellegrini nel mondo internazionale (oh, esagerat...io dico di no) della vela, e «basta la parola», san tutti chi è, cosa ha fatto, cosa fa. Di lui mi ha sempre catturato la cultura specifica che ha del suo sport, forse sarà perchè io di vela ne so meno che di geotermia. Grande affabulatore, narratore brillante, spessissimo ironico e sarcastico (per questo mi sono avventurato in terreno minato...farmaceutico) al punto che, talvolta, anche gli amici fanno fatica ad interpretarlo, come uomo di sport ha due enormi qualità, secondo me: ha entusiasmo per la sua disciplina e la trasmette attraverso una serie ininterrotta di iniziative. Vuoi con i bambini ammalati degli Spedali Civili di Brescia, o con gli studenti universitari delle facoltà d'ingegneria, vuoi forzando i chiavistelli degli opulenti portafogli spesso molto chiusi. E poi il giornale, quel «GiodiBre» vittima della sua produzione di articoli, comunicati, notizie, a getto continuo, tanto che non mancano i detrattori che lo considerano - come dice lui - un badilografo dello scrivere. Ricordi di tempi andati, lontani, tanto lontani: quando appariva dalla porta d'entrata della redazione dove anche io tiravo un non disprezzabile stipendio, volava il commento:«Oh madona, le amó che co la vela...». E lo odiavamo tutti, e qualcuno anche non benevolmente, odiavamo lui, il controfiocco e il vento Pelér, di riflesso. E i pezzi finivano sotto ad altri, giuro di dire la verità, tutta la verità,... Eppure ce ne fossero che lottano così per il loro sport, disposti a incassare anche commenti poco amichevoli, qualche dispettuccio, e a tirar innanzi.

L'occasione di parlare bene ma non troppo bene di Sandro Pellegrini nasce dal regalo che mi ha fatto, che ha fatto alla mia Biblioteca-Collezione-Museo: un libro, tutto dedicato alla barca che gli uomini dell'acqua e del vento chiamano Dolphin81. È la seconda pubblicazione di Sandro che entra nel mio Index Librorum di Navazzo, il primo fu quello che celebrava i sessant'anni della mitica «Centomiglia del Garda», innalzata agli onori come la più importante regata velica in acque interne.  Il nuovo gioca sulla bellezze delle immagini - la vela si presta mirabilmente - e accorpa pareri di velisti che celebrano il trionfo di questa barca parto di un grande progettista come Ettore Santarelli. sandro coordina il tutto. Non mi addentro oltre, rovinerei la bellezza del libro, che va sfogliato con lentezza, per arrivare alla conclusione di quel tale che disse:«Dio doveva essere un velista se ha creato il lago di Garda». E a diffondere il verbo ci ha messo Sandro Pellegrini. Pare non se ne sia mai pentito.

Un breve recensione del libro è disponibile su questo sito alla voce Cartastorie. Nelle foto: la consegna «ufficiale» della pubblicazione fra Sandro e me (il click è di Enzo Gallotta) e la copertina del libro incriminato

Omaggio all'immaginifico Bruno Munari

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Ci fu un cartellone, striscione, o una scritta sui muri di Nanterre, del Maggio francese che non ho mai dimenticato. Siamo nel 1968, il mitico anno della rivolta studentesca, dico mitico perchè per me tale è rimasto nonostante i tentativi revisionisti da parte di voltagabbana che poi si sono accoccolati nelle tiepide, accoglienti poltrone del potere. Oggi i me fa veder de rider i giovani che vogliono il cambiamento della società, una società in più ben peggiore di quella del '68, che come orizzonte hanno il confronto con Letta, Renzi, Calenda, e molte volte con personaggi ben peggiori. Quella scritta recitava «l’imagination au pouvoir », l'immaginazione al potere. Lo disse Jean-Paul Sartre a Daniel Cohn-Bendit, rimasto nella vulgata popolare come «Dani il Rosso», gli disse:"«Ce qu’il y a d’intéressant dans votre action, c’est qu’elle met l’imagination au pouvoir».

Giocando sulle parole. direi che per Bruno Munari (finita l'ora di storia e politica passiamo a quella dell'arte) si potrebbe dire non l'immaginazione al potere - che pure resta valida - ma «il potere dell'immaginazione». Munari viene unanimemente considerato "uno dei massimi protagonisti dell'arte, del design e della grafica del XX Secolo», come scrive l'Enciclopedia Treccani. Un gigante d'inventiva, originalità in ogni campo artistico: grafica, pittura, cinematografia, disegno industriale, linguaggio, movimento, luce, didattica per i bambini. Inadeguato tutto ciò che potrei dire. Che bellezza le sue macchine aeree, i concavo-convesso, le macchine inutili, l'arte cinetica, i libri illeggibili. Ma perchè continuo ad elencare? Quello che ha lasciato Munari è un corpus artistico senza confini.

Questo gigante stimava senza riserve Martino Gerevini, si scambiavano opinioni, discutevano di arte, di colore, di immaginazione, si frequentavano in occasione di mostre a Brescia (Galleria Sincron) o altrove. Si stimavano. Due anni dopo la morte di Munari (1907-1998) Gerevini gli dedicò un'opera di una sua nuova serie. Anche per Martino l'immaginazione è sempre stata la componente propulsiva del suo lavoro di artista. Prova ne sia che non ha mai fatto due mostre con la stessa tematica, ha affrontato materiali diversi, ha cambiato le sue modalità espressive.

Omaggio a Bruno Munari, il titolo semplice lineare dell'opera che potete ammirare qui sotto. Chi conosce, almeno un po' l'opera del Maestro milanese vi ritroverà tanti elementi della sua opera in questa singolare composizione di Martino. L'opera, che fa parte del calendario 2021 che ho voluto per onorare la memoria di Martino Gerevini a dieci anni dalla scomparsa, ci accompagnerà per tutto questo mese di aprile fatto di limitazioni, restrizioni, solitudini e paure.

Aggiunta postdatata - Un amico che, bontà sua, ha letto queste righe, mi ha chiesto di saperne di più su Munari e la sua opera. Secondo me, la fonte migliore è questo sito a lui interamente dedicato: munart.org. Ma anche domusweb.it (in inglese), e per chi volesse investire qualche decina di euro nei suoi libri e nei suoi poster questo può essere l'indirizzo giusto corraini.com Chi ama la fantasia, il bello, l'immaginazione, si perderà in questi percorsi.

La nostra opera - Titolo: Omaggio a Bruno Munari - Anno: 2000 - Tecnica mista - Formato: cm 40x40 - Collezione privata

Uomini e donne, società e sport

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Il mio amico Daniele Poto mi ha preceduto in fotofinish, visto che l'argomento che ci propone oggi entra anche nelle stanze dello sport. E per non togliergli spazio non aggiungo altro. Prendo a prestito lo slogan che va tanto di moda, Non una di meno”, per modificarlo in un Non una di più”, intendo riga di commento a quanto dice Daniele. C'è dentro tutto, o quasi tutto, quello che avrei voluto dire io. Ma non posso fare a meno, è più forte dei buoni propositi, non dire che chiamare sindaca, direttora, ministra, mi fa venire l'orticaria, lo trovo di un brutto repellente. Chiamare Delia Castellini (non siamo parenti) brava e appassionata prima cittadina di Toscolano Maderno (confermata per il secondo mandato) "sindaca", beh, proprio non mi riesce. Trovo molto più rispettoso ed elegante rivolgermi a lei come "signora Sindaco". Se poi mi denuncerà (ho letto che in Parlamento perdono tempo prezioso per queste minchiate scambiandosi furibondi battibecchi polemici), pazienza Delia, affronterò la pesante condanna!

Codicillo - Ascoltate bene questo monologo della signora Valentina Vezzali: povertà di linguaggio, esercizio di piaggeria senza pudore, battuta finale davvero di pessimo gusto. Poi, ottenuto quel che voleva in politica, ha cambiato bandiera, si è fatta «toccare», schermisticamente parlando, da qualcun altro. Adesso la (s)toccata tocca a Malagò e al prof. Mario Draghi, che ha messo un piedi un governo (lettera minuscola voluta) che sembra il Wild West Show, il Circo di inizio Novecento messo in piedi da William Cody, per tutti Buffalo Bill. Li aveva tirati dentro tutti, bianchi e pellerossa, pistoleri e avventurieri, da Calamity Jane a Toro Seduto, da Wild Bill Hickok a Alce Nero. Avanti c'è posto!

Vezzali e Granata, non è una svolta

di Daniele Poto

Si parte da una gaffe veniale del presidente del C.O.N.I. Giovanni Malagò (l’aver ignorato in pubblico convivio i meriti del rugby femminile) per approdare a un discorso più generale. Ci si può meravigliare che le argomentazioni che seguono vengano da un uomo, ma concedendo che ogni speculazione non è perfettamente oggettiva perché spesa da un angolo visuale soggettivo, la volontà dell’autore è di creare un dibattito, non necessariamente divisivo nell’eterna querelle uomo-donna.

Non c’è dubbio che la cronica arretratezza della nostra civiltà registri il ritardo storico nei pari diritti dei due sessi. Basti ricordare che il suffragio universale paritario è scattato solo nel 1946 tagliando fuori dalla storia decine di generazioni di italiane per fotografare una colpa evidente. Ma dalla colpa non può nascere un complesso rimontabile con la demagogica concessione di diritti “finti”. Le pari opportunità, le quota rosa, il parcheggio dedicato alla donne (più che mai giustificabile per quelle incinta) sono palliativi che spostano poco la questione, anzi la ribaltano su un piano di concessioni demagogiche. E mettiamo sullo stesso livello la manomissione delle parole, il revisionismo semantico. Il ministro che diventa ministra, l’assessore che diventa assessora, il direttore d’orchestra che diventa la direttora, come il direttore di un giornale. Lo stesso programma word si ribella a questa coatta manipolazione. Cacofonie che sono forzature rispetto a una logica evoluzione.

In tempi di post femminismo e di “Non una di meno”, sotto l’influsso del "Mee too" e della recrudescenza dei femminicidi, nella vita sociale c’è l’esasperata tendenza a far largo a spintoni ai soggetti femminili. E non per merito ma per le famigerate quote. Vi ricordate quando si cercava a tutti i costi un Presidente della Repubblica donna e si avanzavano le candidature di Emma Bonino e di Anna Finocchiaro? Con tutto il rispetto, a nostro giudizio, inadatte al ruolo. E non perché donne ma in quanto a meriti politici tout court. Lo stesso dibattito si è riaffacciato all’interno del Pd il cui attuale presidente è Valentina Cuppi. Alzi la mano chi sa qualcosa in più su Valentina Cuppi rispetto a nome e cognome. Polemiche per i mancati riconoscimenti a ministri donne. Non è solo una battuta se suggerisco di evitare nel Governo altri soggetti femminili se gli esempi preclari sono quelli di Mariastella Gelmini e Mara Carfagna, emanazioni del Capo, e sappiamo a chi ci riferiamo, anche se la seconda si è progressivamente dissociata da Berlusconi.

L’effervescenza è viva anche nello sport. La protegé di Malagò, Diana Bianchedi, era incandidabile al ruolo di sottosegretaria per lo sport a causa di un evidente conflitto d’interessi (prende proventi dall’ente). Dal cilindro dell’improvvisazione è spuntata fuori Valentina Vezzali, conosciuta in politica per aver toccato altissimi livelli di assenteismo oltre che per aver cambiato schieramento incurante di un vincolo di mandato che in Italia è applicazione solo teorica. Adatta al ruolo o unfit? Noi sospettiamo che in quanto a politica sportiva la Vezzali maneggi meno conoscenze del precedente Ministro Spadafora che in quanto a competenza certo non brillava. Però la Vezzali (quella che da Berlusconi si sarebbe fatta piacevolmente “toccare”) ha ori olimpici, prestigio, è un personaggio popolare e tanto basta. Si è applaudita la svolta storica con Antonella Granata, primo presidente donna (o presidenta?) di una Federazione sportiva. Siamo proprio all’ultimo stadio nella nomenclatura del C.O.N.I. con lo squash, ma tanto basta per far parlare di muri che cadono, di cambio della guardia.

Gli uomini non devono concedere nulla e per non incorrere in un ossimoro non possono essere femministi. Non concessioni ma riconoscimento di diritti. La rivoluzione si fa, non s’implora né si chiede.  Parleremo di svolta storica se Antonella Bellutti si imponesse come presidente del C.O.N.I. battendo Malagò. Ma non succederà. E Malagò stesso si fa interprete demagogico per l’episodio di cui riferivamo in avvio di intervento. “Avrei voluto un figlio maschio per vederlo giocare a rugby”. E le sue figlie femmine? Come vedete il pensiero concessivo, e un po’ ipocrita, è dietro l’angolo.   

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