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Parola d'ordine: saremo migliori. Sì, ma quando?

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Vi ricordate il motto che, qualche mese fa, faceva il giro quasi ossessivo dei giornali, delle televisioni, dei commenti dei grandi (e altrettanto inutili) editorialisti o urlatori da sceneggiate (ben retribuite) televisive che chiamano talk show, dove nessuno talk (discutere pacatamente) ma tutti howl (ululare)  o scream (urlare) o shout (sbraitare)? E i suonatori di violino, o di arpa, o di flauto traverso, dalle terrazze che toccavano le corde della emozione e dei più puri sentimenti fino a strappare le lacrime? E gli imitatori del melodico Andrea Boccelli (che, anche lui come Roberto Mancini, è scivolato su una buccia di banana, per dirla con Daniele De Rossi, con affermazioni minchiute)? Ve lo ricordate sì? O ve lo siete già scordato?

La parola d'ordine era: saremo tutti migliori. 

Oggi vi offro un esempio di questo gigantesco miglioramento della bestia umana che ho trovato on line sul sito di un quotidiano nazionale. Ascolterete solo la parte più edulcorata, il resto degli insulti irripetibili è stato censurato, provate a immaginare che dialogo raffinato. Cliccate qui.

Domani tornerò in argomento, ho in serbo un paio di «chicche».

Halloween, monumento alla imbecillità

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Sarà pure uno sbruffone, forse, come dicono gli avversari politici, un camorrista, un politico spregiudicato che riesce, chissà come, a mettere insieme pezzi di destra e di sinistra e vincere le elezioni regionali in Campania, grazie alle quindici liste a lui collegate, con il 69,5 dei voti, sta fortemente sui piedi al sindaco di Napoli, De Magistris. Insomma, dite quel che volete ma a me il governatore Vincenzo De Luca è simpatico. Se non altro non è così palloso come certi politici che sembrano commessi delle pompe funebri (con tutto il rispetto per il loro insostituibile mestiere), o «esangue come un santo di El Greco» espressione usata da Brunella Giovara in un articolo su un tal lombardo esperto di camici e di mascherine. Oppure insignificanti giovanottelli con il sorriso eternamente prestampato, che si vede perfino quando indossano la mascherina. Lui, l'uomo di Salerno, se ne inventa una nuova quasi ogni volta che apre la bocca. Mi direte: è sufficiente per essere un buon politico? Certo che no, non è solo con il sarcasmo che si amministra e si fa politica.

L'ultima trovata del Governatore del Regno di Campania (ex Regno di Napoli, poi Regno delle Due Sicilie) è da scrivere a caratteri cubitali. E stavolta non è una battuta, ma una definizione intelligente che dovrebbe essere fatta propria da tutti gli italiani che hanno ancora un cervello efficiente. Ha detto: «Halloween è questa immensa idiozia, questa stupida americanata che abbiamo importato anche nel nostro Paese, è un monumento all'imbecillità». Ma noi, dico gli italioti, dobbiamo essere filoamericani sempre e comunque, e tutte le loro cazzate devono per forza attecchire da noi. Questa della notte delle streghe e della paura è da annoverare fra le idiozie più enormi nella storia dell'umanità. Che se la tengano 'sti cowboys di Tombstone o del Rio Bravo, ma che senso ha importarla nel Paese di Leonardo, Michelangelo, Caravaggio, Botticelli, Vasari, Dante, Manzoni, Verdi? È una roba da incivili, da ubriaconi che con una maschera sul volto si divertono, quella notte, ad ammazzare, a picchiare e a distruggere. Ma noi, noi italiani, cosa c'entriamo? E invece riempiamo i nostri supermercati di orripilanti zucche di plasticaccia arancione, di assurdi cappellacci da strega, e buttiamo i nostri soldi. 

Halloween, Allouin, come ha celiato un quotidiano inglese riprendendo il suono della pronuncia del signor Vincenzo neapolitan speaking. Allouin una «americanata che è monumento all'imbecillità». Sottoscrivo. Chi volesse ascoltare dal vero le parole di Vincenzo De Luca può cliccare qui; per chi volesse sorridere un altro po' qui trova la parodia che ne ha fatto il grande Crozza (nella foto).

Cornuto, gridò il bue all'asino

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Conoscete tutti la battuta che ho utilizzato per il titolo di questo commentino flash. Ieri sera, alle 18.48, sul sito di un quotidiano nazionale è apparsa una notizia che diceva così:" Londra metterà in quarantena tutti coloro che entreranno nel Regno Unito provenienti dall'Italia". Oggi ho letto un'altra notiziola, più dettagliata, che informa che i 27 ministri dei Paesi dell'Unione Europea hanno deciso di armonizzare i criteri (in pratica di giocare con la scatola dei pastelli) con i quali definire una regione rossa, arancione, grigia o verde. Il nostro «sgualcito Paese» - felicissima definizione data da Beatrice Dondi in un suo scritto - è stato messo in arancione, per cui la decisione immediata degli abitanti di Pianeta Brexit è stata di chiudere le porte a chi si avvicina al loro sacro suolo, intoccabile. Ma secondo le decisione del Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie, il colore (arancione in questo caso) non comporta automaticamente quarantene o misure restrittive, un Paese può introdurre misure di cautela. Può, è discrezionale. Ma per gli italiani no, niente da fare: quarantena. Dimenticavo di dirvi: l'isola di Albione, antico nome della Britannia, sfoggia un vivido colore rosso.

Io penso che a Mr Boris Johnson sia andata per traverso la pacata ma tagliente risposta del nostro grande Presidente Sergio Mattarella a fronte di una ennesima fesseria del «pelopincho» (definizione di una mia amica spagnola che abita nei dintorni di Londra da quasi quarant'anni) che vantava maggior tasso di amore per la libertà dei suoi sudditi rispetto a quello degli italiani. Una cosa è certa: i signori inglesi, che tengono tanto alla loro libertà, hanno privato della stessa milioni di persone nel mondo, senza mettere in conto tutto quello che hanno sgranfignato nelle loro scorribande. Libertà, per loro, significa andare al pub tutti i pomeriggi verso sera a spararsi una pinta di John Smith, come disse, all'inizio della diffusione di questo maledettissimo virus, l'autorevole genitore del Johnson Primo Ministro. E il figlio, obbediente, approvò la decisione di Daddy.

Il provvedimento di quarantena obbligatoria per chi viene dall'Italia sarà in vigore da domenica 18 ottobre. Mi auguro che da quella data non entri qui da noi neppure un fantasma di inglese. Ma attenzione militi poliziotti di frontiera: qualche settimana fa un tale scarmigliato, con i capelli color Aperol Spritz (la battuta non è mia, ma non ricordo l'autore) si è imboscato, di nascosto, in un Castello in Umbria, proprietà di un oligarca (sta per individuo arricchitosi Dio sa come) russo, suo amico. Niente di strano: si è saputo dopo che quella notte, nelle segrete del maniero, era in programma una degustazione di vini regionali, Montefalco Sagrantino Passito, Torgiano Rosso, Grechetto Perticaia, vini dei quali il Boris va matto. E nell'aria musiche dal «Boris Godunov» di Musorgskij, in onore del Granbritanno. Immediata smentita di Downing Street, ovviamente: Aperol Spritz non si è mai mosso da Downing Street.

Riforma dello sport: per chi tifare? Nessuno

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Qual è il sostantivo che negli ultimi quindici anni è stato ripetuto pappagallescamente fino alla nausea? Casta. Che bello: tutti contro la casta! Un successone il libro di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, uscito nel maggio 2007 ad ottobre dello stesso anno era già alla diciannovesima edizione. L'ho letto pure io, e provai qualche brivido di rivolta. Poi però...poi però mi è venuto un dubbio sempre più insistente: non sarà che questi che sbraitano contro la casta, sono interessati, subdolamente, a sostituire questa casta con la loro? Fu tutto uno sbraitare, un ululare di «vaffanculo», di Vday; prese potere uno che nella vita aveva sempre cercato di far ridere, anche lui ringhiava, e gli italiani giù tutti a ridere, come se un Paese, una Nazione, fosse cosa da riderci sopra. Quasi contemporaneamente fecero la loro comparsa i «rottamatori», e io  mi chiesi: non sarà come per la lavapiatti? Rottamo la vecchia, che farebbe ancora il suo onesto lavoro, e la sostituisco con una nuova. Ma sempre lavapiatti è. E infatti, la logica è, era e sarà, «fatti più in là che al tuo posto mi ci metto io».  E, soprattutto, ci rimango.

In tutto questo baillame di «di caccia al politico da rottamare», ci si è dimenticati di altre categorie che hanno vocazione all'inamovibilità: sono gli ungulati dello sport, quelli che si arpionano a posti e posticini dove si gestiscono le attività sportive. Vanno di moda le prove di resistenza, ma i veri campioni di ultradistance sono loro, quelli che una volta entrati non escono più. Ci sono esempi che possono essere citati nei libri di storia dello sport italiano, e anche mondiale. La faccio corta: oggi ci risiamo, ed è in atto il braccio di ferro fra politica e sport, que par de dos! direbbero i miei amici spagnoli, come dire te li raccomando quei due. Nella mia lunga esperienza in organismi sportivi, nazionali e internazionali, sempre come impiegato tanto per chiarire, ne ho viste di tutti i colori. Ve ne racconto una come esempio illuminante. Dunque: un tale vuol diventare presidente di una federazione sportiva, si fa scrivere il programma elettorale dal suo ghostwriter, che, terra terra, significa uno che conosce un po' la lingua italiana e la condisce con qualche sostantivo o aggettivo che quasi nessuno conosce a Petralia Sottana. Fa mettere nero su bianco che uno dei punti cardine del suo prgramma è il limite di due mandati, otto annetti, mica scherzi, comunque va bene. Eletto, dopo il primo mandato, comincia la litania: due mandati son troppo pochi, non si fa a tempo a capire i meccanismi, a imparare tutto quel che serve...e via salmodiando. Ma se ti sei candidato per andare ad occupare una carica, voleva dire che avevi un bagaglio di conoscenza tale da ricoprire quel posto con assoluta padronanza. O no? Oppure i primi quattro anni sei andato alla scuola primaria ad imparare, i secondi quattro alla secondaria? E quando mai sarai pronto per l'esame? 

Leggete quel che Daniele Poto ha scritto per questo mio zibaldone. Lo dice chiaro: uno degli argomenti di massima fibrillazione è il numero dei mandati. Perchè, gira e rigira, è meglio fare il presidente della federazione della corsa nei sacchi piuttosto che lavorare. Frase storica che veniva usata per quei pelandroni dei giornalisti, ma vale per tante altre categorie. Questa dello sport, sicuramente. E con privilegi che neppure i ministri hanno. E soprattutto, con la cassa, che il virus però ha messo drasticamente a dieta.

Federazione del braccio di ferro: Spadafora contro Malagò

di Daniele Poto

Ma davvero possiamo immaginare un’Italia istituzionalmente censurata costretta a una partecipazione monca all’Olimpiade post-datata di Tokyo 2021? Tempi strani, tempi difficili, anche come interpretazione, quelli che vivono C.O.N.I. e ministero dello Sport (e sullo sfondo il Governo, solidale con il ministro Spadafora). Improba anche la separazione del pensiero di Bach, rettore del C.I.O., da quello di Malagò, primo dirigente del C.O.N.I. in cerca di solidarietà internazionale sul tema della riforma governativa.

Il malcontento sembra accomunare questa volta tutti i vertici del Foro Italico, senza distinzione alcuna. Spadafora per la verità raccoglie anche le conseguenze della precedente riforma voluta dal leghista Giorgetti. Le ha dato continuità e si scontra con quelli che dal punto di vista lessicale è difficile non chiamare satrapi. Barelli (nuoto), Aracu (hockey), Binaghi (tennis), per non parlare di Petrucci (basket), sono lì da una vita e per una vita al vertice vorrebbero restare senza limiti di mandati, a costo di fare come alcuni sindaci del Belpaese. Un giro fermi con un proprio affidabile incaricato (meglio ancora se parente) e poi nuova giostra, nuova corsa.  Guarda caso tre dei quattro presidenti citati hanno avuto cariche politiche e sono fortemente etichettabili sul fronte centro-destra.

La semantica del conflitto è quasi inestricabile tanto più che appare evidente che per tamponare gli effetti ci sia un po’ di Malagò nel testo di Spadafora. La differenza tra chi è esperto, e conosce il mondo con la diplomazia che utilizzava nei colloqui quasi quotidiani con Gianni Agnelli, e chi viene da un altro mondo, in tutti i sensi, anche se deve adattarsi alla trasformazione del Movimento 5 Stelle in autentico partito, con tutte le conseguenze del caso. Lo spauracchio prospettato come “drammatica conseguenza finale” è il disconoscimento del C.I.O. che parla di “tradimento” dei principi fissati dalla Carta Olimpica. Anticipiamo che mai succederà e la sua evocazione è solo uno strumento tattico per approdare a una pace di compromesso secondo le italiche abitudini.

Per avere un quadro più aggiornato degli equilibri in campo bisogna anche ricordare che Spadafora ha la solidarietà del presidente del Consiglio, Conte, e non tanto per un rapporto personale o di stima ma perché, specie dopo le elezioni Regionali e il trionfo dei “sì” al Referendum, non è prevista una crisi di Governo ma neanche un rimpasto. Spadafora dunque ha buoni margini di manovra sapendo di poter rimanere in sella, accada quel che accada. Ma non è neanche suo precipuo interesse aggravare il conflitto, esacerbare i toni anche se qualche parola grossa è già stata utilizzata persino su documenti ufficiali, da una parte e dall’altra.

Come si può immaginare uno degli argomenti di massima fibrillazione è il numero dei mandati. La boutade del dilettantismo non è più gettonata nel consesso degli agonisti olimpici, figurarsi se può essere ancora credibile per dirigenti che sono professionisti a tempo pieno e trovano sostentamento economico dal proprio mandato e dal suo prolungamento nel tempo. La mancanza di rinnovamento delle poltrone nello sport italiano è proverbiale, così come l’assenza significativa di profili femminili, a parte signore cooptate e di discutibile competenza come Evelina Christillin.

Quali sono i saggi a cui chiedere un consiglio in questi casi? A seconda delle correnti politiche, vi verrà suggerito di rivolgersi a Franco Carraro, anni 81, già presidente del C.O.N.I., già sindaco di Roma, già ministro dello Sport, già tante cose; oppure a Mario Pescante, anni 82, disarcionato dal C.O.N.I. per lo scandalo del laboratorio anti-doping di Roma, poi vicepresidente vicario del C.I.O. (da cui si dimise), ma ancora saldamente in attività come “esperto”. Intanto, allo stato dell’arte, rimane la ferma opposizione del mondo dello sport, imprevedibilmente compatto, rispetto all’attuale bozza del testo unico sul riordino dell’ordinamento sportivo. Sull’ordinamento lo sport non vuole ordini, scusate la tautologia. 

Ottobre 2020: nebbia, ma anche vino e spiedo

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La nebbia agli irti colli
Piovigginando sale,
E sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;
Ma per le vie del borgo
Dal ribollir dè tini
Va l'aspro odor de i vini
L'anime a rallegrar.
Gira sù ceppi accesi
Lo spiedo scoppiettando:
Sta il cacciator fischiando
Su l'uscio a rimirar
Tra le rossastre nubi
Stormi d'uccelli neri,
Com'esuli pensieri,
Nel vespero migrar.

Chantal, Marco, Pietro: stavolta mi sono affidato a un Premio Nobel, mica a un Castellini qualunque. Il focoso toscano Giosuè (o Giosue, come preferiva lui) Carducci, secondo italiano a cui fu assegnato il Premio Nobel nel 1906. Secondo per pochi giorni, il primo fu il medico Camillo Golgi, di Corteno, provincia di Brescia, ma a quei tempi territorio bergamasco. Oggi, come sanno tutti i bresciani (sarà vero?), la bella località dell'Alta Valle Camonica si chiama Corteno Golgi, così dal 1956, ed è conosciuta come «il paese con nome e cognome». Comunque, la nostra Italietta del 1906 si portava a casa due Nobel da Stoccolma, capito gnari?

La poesia del radicale, senatore del Regno d'Italia nel Gruppo Parlamentare di estrema sinistra, Carducci ci richiama alla realtà che stiamo vivendo: «stormi d'uccelli neri», io direi anche d'imbecilli neri. Ma ci sono anche elementi di ottimismo: la natura che ci circonda, spesso tanto bella e troppo spesso tanto stuprata un po' da tutti noi, la calma del borgo, l'odore dei vini, lo spiedo che scoppietta. Visioni che ci rimettono in pace con noi stessi e, in parte, con gli altri.

E quella nebbia colta dall'obbiettivo di uno dei miei tre paparazzi-amici, o amici-paparazzi, sulla diga di Valvestino è ulteriore motivo di silenzio, di tranquillità, di pace. Di vino rosso, anche se non è novello fa lo stesso, e di spiedo, purtroppo senza uccelli, e non fa lo stesso.

La nostra foto - Dove: Diga di Valvestino - Apparecchio: NIKON D850 - Lunghezza focale: 35.0 mm - Ottica: 24.0 - 70.0 mm f/2.8 - Tempo esposizione: 1/160 - Diaframma: f/7.1


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