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25 maggio 1935, quel giorno...e chi si ricorda?

Ann Arbor, Michigan, una cittadina di non grandi dimensioni, circa 115 mila abitanti secondo il censimento più recente. Dice la storia americana che i due speculatori edilizi che iniziarono, nel 1824, l’edificazione della città sulla base di due villaggi indiani preesistenti, vollero mettere il primo nome Ann in onore delle loro due mogli che, appunto, si chiamavano Ann. La città è sede della University of Michigan (1837), e sulla sua pista di atletica è ambientata la storia che segue.

Ve la racconto con le parole di Roberto L. Quercetani, storico dell’atletica mondiale che ci ha lasciato pochi giorni fa, il quale in occasione del cinquantesimo anniversario dell’evento – perché tale fu e resta –, scrisse un articolo per la rivista “Atletica” della Federazione italiana (numero 5, maggio 1985, pagg. 10 – 13).

A corredo, pubblico la copertina del DVD del film «Race» uscito, con gran battage pubblicitario, nel 2016, alla vigilia dei Giochi Olimpici di Rio de Janeiro. Il film fu diretto da Stephen Hopkins, la figura di Jesse Owens è interpretata da Stephan James. Il focus dell’opera filmica sono soprattutto le vicende dei Giochi Olimpici di Berlino 1936, il nazismo, la figura, aleggiante ma opaca, di Hitler, certe furbate dei dirigenti del tempo (ma faranno carriera...), i prezzi che vengono pagati alla loro poca chiarezza di fronte alla rettitudine degli atleti (le figure del saltatore in lungo tedesco Luz Long, oppure i due sprinter ebrei-americani esclusi all’ultimo momento pagando così il prezzo al nazismo). Un film, un’opera lasciata alla fantasia di regista e attori. Una libera interpretazione, e come tale va guardata. Altrimenti si guardino i documentari storici. Ma stiamo parlando di un’altra cosa.

In atletica il tempo è un agente corrosivo di enorme efficacia: visti a distanza di anni, pochi o punti risultati conservano il loro nitore d’origine, perché l’evoluzione dei metodi di allenamento e delle stesse condizioni di gara è tale che tutto ricomincia invariabilmente da una piattaforma più elevata rispetto al passato. Fra le rarissime «performances» del passato che incutono ancora rispetto…anche ai profani sono da mettere in primissima linea quelle di Jesse Owens nel suo «Day of Days», il 25 maggio 1935 ad Ann Arbor (Michigan).

Quel giorno era un sabato e sul Ferry Field si disputavano le finali della Western Conference, cioè i campionati universitari delle dieci maggiori università del Middle West, tanto che in gergo la riunione s’identificava nella sigla BIG TEN. Owens, un negro di 21 anni e 7 mesi, 1,78 per 71 chili, gareggiava per la Ohio State University di Columbus e aveva come allenatore Larry Snyder. Nelle settimane precedenti si era visto un Owens migliore di sempre: alle Drake Relays in aprile, per esempio, aveva saltato in lungo 7.97 regalando preziosi centimetri alla battuta, e gliene sarebbero bastati due soli in più per succedere al giapponese Chuhei Nambu (7.98 nel 1931) come primatista mondiale…Owens, sempre generoso e quindi incline a sacrificarsi pur di portare più punti possibili nel carniere dei «Buckeyes» (nome di battaglia degli studenti della Ohio State University), si era qualificato fin dalla vigilia per quattro finali. Questo sebbene fosse afflitto da un dolore alla schiena, «ricordo» di una partitella di football giocata pochi giorni prima con i suoi compagni di squadra. In quel venerdì 24 maggio 1935 Jesse superò i turni eliminatori senza forzare: 9.7 sulle 100 yards, 21.4 sulle 220, 24.9 sugli ostacoli bassi e 7.65 nel lungo. Giova però osservare che questi risultati erano allora accessibili e un numero assai ristretto di atleti.

All’alba del fatidico 25 maggio Jesse accusava ancora dolori alla schiena, tanto che il suo «coach» gli consigliò di rinunciare alle gare. Lui però non volle saperne, ma essendo per natura mite cercò di convincere Larry con le buone: «Fatemi correre almeno la prima finale, le 100 yards. Poi vedremo se sarà il caso di rinunciare al resto». In fondo i punti-squadra premevano anche a Larry, se non soprattutto a lui, e così accondiscese al desiderio del suo allievo. Tante volte i grandi eventi della storia sono legati ad un filo, dal quale dipende che vadano in un modo oppure in un altro…Ma eccoci alla cronaca di quella giornata.

Ore 14.45, 100 yards – Owens deve vedersela con velocisti di buon valore nazionale (quindi anche internazionale). Parte bene come al solito e non tarda ad avvantaggiarsi. Poi corre nel suo stile sempre decontratto e vince di un metro. Poco dopo viene annunciato il tempo: 9.4, «mondiale» eguagliato. Secondo è Robert Grieve (Illinois) 9.5, terzo è Sam Stoller (Michigan) 9.6. Sebbene le regole internazionali non parlino ancora di vento (l’attuale regola dei 2 m/s sarà introdotta nell’agosto 1936), gli organizzatori hanno pensato bene di servirsi di un anemometro, il quale indica che il vento spirava in senso favorevole alla velocità di 1.55 m/s – come dire che il risultato sarebbe stato valido anche…nell’ottica del futuro. I tre cronometristi ufficiali sono concordi sul 9.4. A corsa finita, Jesse dice di non avvertire più il dolore alla schiena. Lo dice a Larry Snyder ed ottiene da questi il permesso di continuare.

Ore 15.18, salto in lungo – Il direttore della riunione, Ken Doherty (già decathleta di ottima quotazione, più tardi autore di un celebre trattato di tecnica) ha avuto cura di approntare, proprio di fronte alla tribuna, una pedana nuova di zecca, però erbosa. Ed ha il coraggio di annunciare che Owens tenterà di battere il «mondiale» di Nambu. Detto e fatto: Jesse prende il volo dopo una rincorsa breve e veloce e atterra bene al di là di un fazzoletto che lui stesso aveva collocato a 26 piedi (m. 7.92). Poco dopo viene annunciata la «storica» misura: 26 piedi, 8 pollici e un quarto, ovvero m. 8.13. Nambu è superato di 15 centimetri! Il vento è di 1.48 m/s. Owens, atteso da altri impegni, non ha il tempo di fare altri tentativi. Alla fine vincerà la prova con netto vantaggio sul versatile Willis Ward (Michigan), 7.66. Terzo Harry Hollis (Purdue) 7.36, quarto Sam Stoller (Michigan) 7.08.

Ore 15.30, 220 yards in rettilineo – Reso euforico dai successi già ottenuti, Owens è incontenibile. Domina anche questa gara da cima a fondo e chiude in 20.3, battendo di due decimi il «mondiale» tabilito nel ’26 dallo sprinter bianco Roland Locke. Qui il vento è di 0.82 m/s. Nella sua scia finiscono Andrew Dooley (Iowa) 20.7, Robert Grieve (Illinois) 20.9 e Robert Collier (Indiana) 21.2. A questo punto Snyder non ha più obiezioni, lascia che Jesse «rulli» fino in fondo.

Ore 15.30, 220 yards ostacoli in rettilineo – Anche qui gli avversari sono di buona levatura, ma Owens appartiene ad un altro pianeta. Gli ostacoli (cm 76) non lo preoccupano più di tanto, ma è chiaro che venendo come ultima fatica della giornata non gli sono nemmeno di aiuto…Sul finire Owens appare meno decontratto del solito: è anche lui un essere umano, dopo tutto. Vince comunque da signore in 22.6, migliorando di 0.4 il «mondiale». Secondo Phil Doherty (Northwestern) 23.2, terzo Francis Cretzmeyer (Iowa) 23.4. E il vento è calato a 0.46 m/s.

Unico neo della giornata: malgrado il prodigarsi di Owens, alla fine Ohio State deve soccombere al Michigan, 43.5 punti contro 48. È un dettaglio che quel giorno sarà parso importante a molti, sul posto – ma per la storia non ha alcuna importanza. I posteri ricorderanno solo che un uomo ha battuto tre «mondiali» e ne uguagliato un quarto nel giro di 75 minuti. Qualcuno ama ricordare che i primati delle 220 yards valevano anche per i 200 metri, distanza più corta di oltre un metro rispetto a quella inglese. E così accreditano Owens di cinque primati battuti ed uno eguagliato. Formalmente ha ragione, ma a noi piace pensare che Owens non si sarebbe mai vantato di due primati su distanze così vicine tra loro come i 200 m e le 220 y…

È vero che nei … anni trascorsi dal «Day of Days» di Owens tutti i suoi primati sono stati battuti e ribattuti un’infinità di volte, ma è anche vero che al di là del loro valore storico inalienabile conservano pure un valore facciale tutt’altro che disprezzabile. Anche se molti, fra quanti li leggono, non penseranno a «dettagli d’epoca» come la qualità della pista e delle scarpette, o come le buchette che allora avevano il posto degli attuali «starting blocks». D’altronde un 8.13 nel lungo è capace ancor oggi di aprire molte porte in gare internazionali di alto livello.

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