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Se sentite qualcuno dissertare sulla famosa indipendenza dello sport dalla politica, non credetegli, è una balla clamorosa. Come la perentoria affermazione che ha imbambolato tanti «Lo sport agli sportivi». Ma per carità! Giuntini, ottimo e preparatissimo studioso di storia dello sport, ci offre tutte le argomentazioni che servono per capire che queste affermazioni sono sempre state trappole per gli ingenui (io fra questi) e, soprattutto, per chi aveva interesse a perpetuare il proprio potere sportivo. Potere, sì, potere, come tutti gli altri: politica, economia, finanza, religione. Attraverso sei documentatissimi capitoli, l'autore ci guida attraverso vicende rilette alla luce di quel '68 che è stato uno spartiacque anche nello sport. Che è sempre stato gestito con una logica ingannevole, presentandocelo come una oasi incontaminata, difesa da strenui difensori della indipendenza di questa attività rispetto ad altri poteri. La realtà è sempre stata ben diversa, fin dall'affermarsi del fenomeno sportivo. Il cultore dell'ellenismo, barone de Coubertin, come avrebbe fatto a riportare i Giochi ad Atene senza l'aiuto dello Stato greco? E così per le Olimpiadi e per ogni grande manifestazione: la presenza degli Stati è il pilastro. E lo sport si è sempre piegato, in buon ordine. Basta pensare ai Giochi Olimpici del 1936 a Berlino, in pieno nazismo. L'unica voce che invocava la non partecipazione della squadra americana ai Giochi nazisti, quella del membro del C.I.O. (eletto nel 1927) Lee Jahnecke fu tacitata con la esclusione, per far posto al suo connazionale, il ricchissimo costruttore Avery Brundage, che poi, nel 1952, ascenderà alla presidenza del Comitato Olimpico, portandosi appresso la sua cultura di ultraconservatore. Spesso anche ottuso: dovrebbe rileggersi la vicenda delle medaglie strappate a Jim Thorpe, che Brundage evitò di restituire nonostante le tante sollecitazioni. La purezza dello sport, dell'amateur. E infatti nel «giglio magico» dei padroni del vapore olimpico c'erano teste coronate, baroni, grandi industriali, tutta gente che non doveva lottare per la pagnotta quotidiana. Il libro di Giuntini ci porta a rileggere tante vicende, non solo quelle olimpiche: certo Mexico '68, i pugni chiusi di Tommie Smith e John Carlos, ma anche le vicende italiane gestite dall'inamovibile Giulio Onesti all'ombra paterna di Giulio Andreotti e della DC, i Mondiali di calcio del '78 gestiti dai massacratori della dittatura argentina di Videla, la partita Cile - Italia a Santiago imperante il dittatore sanguinario Pinochet, i Campionati europei di atletica del '69 nella Grecia dei colonnelli. Tutto sotto l'ombrello della burletta dello «sport indipendente dalla politica». Queste pagine aiutano ad uscire da un mito falso e a rileggere la cruda realtà. Quella di ieri, che è poi quella di oggi, se non peggiore. |