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Ricordando quei Leopards, una sera a Palazzolo

  

Pietro, Marco e il nonno erano andati sabato a Padova per vedere, possibilmente, una bella partita di rugby, senza farsi troppe illusioni sul risultato finale di questo Italia - Sudafrica, quattordicesimo episodio della serie. Che era iniziata nel 1995 (anno del celebratissimo primo successo degli Springboks in Coppa del mondo, reso ancora più celebre dal film Invictus con la regia di Clint Eastwood) allo Stadio Olimpico di Roma (punteggio finale 40 - 21). Da allora in poi azzurri e gialloverdi si sono messi in mischia quattordici volte, sette a casa loro e otto a casa nostra. Lo scorso anno, allo Stadio Artemio Franchi di Firenze, una fiammata azzurra che fece volare gli entusiasmi: Parisse e compagni vinsero per 20 a 18. Festa grande, meritata.

Stavolta invece ci hanno fatto la festa. Dieci - quindici minuti e poi si è capito che non c'era storia. Bravini i nostri, ma gli altri sono un'altra "cosa". Intanto una mischia che sembra composta da caterpillar più che da pur forzuti esseri umani, una visione del gioco che a sentire chi davvero mastica rugby (non io) a dir poco straordinaria, e soprattutto ben chiaro l'obiettivo del gioco del rugby: mettere il pallone bislungo al di là di una certa linea. Cosa che sembra non faccia parte del bagaglio tecnico dei nostri, che si arenano molto prima di quella fatidica linea.

Siamo andati, le abbiamo buscate, ma ci siamo divertiti, come le altre migliaia di spettatori che hanno affollato le tribune dello Stadio Euganeo. Questo è il rugby, bellezza. Si va allo stadio per veder giocare, per riconoscere chiunque giochi bene, per incitare fino in fondo i nostri, per rispettare il valore degli altri, per applaudire l'inno sudafricano (forse perchè più bello di quello svedese? chiedere spiegazioni a quelli di San Siro), per commentare senza insultare. Attorno a noi tre c'erano parecchie famiglie con bambini, in piena totale serenità e sicurezza. Non abbiamo sentito nè parolacce nè bestemmie. Siamo usciti, sotto una robusta pioggia, nel massimo ordine. Questo è il rugby, questo dovrebbe essere lo sport. Tutto. Una sola nota negativa: quei 35 Euro pagati per tre panini e tre birre. Ci è sembrato un furto a mano disarmata.

Codicillo: io mi sono ricordato che nel 1974 il mio amico Ersilio Motta mi spedì una sera infrasettimanale a Palazzolo sull'Oglio a vedere una partita fra una selezione bresciana e una squadra sudafricana di tutti neri: i Leopards. Tra il campo scarsamente illuminato, quei black come montagne di carbone, non riuscìi a vedere chi segnava. Alla fine, con molta umiltà e parecchia vergogna andai a chiedere a chi ne sapeva il "tabellino" finale. Fu il terzo articolo che orgogliosamente firmai, da collaboratore, per il Giornale di Brescia. Ci misi la firma, bella faccia tosta. E mi sono anche ricordato che nel mio corredo posso esibire una maglia ufficiale degli Springboks, dono dei miei amici Gabriella e Giovanni, che fecero il viaggio di nozze in Sudafrica e si ricordarono della mia passione per il rugby. Citando Gabriel Garcia Marquez:" La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla". 

Le due foto a corredo: il centro del campo allo Stadio Euganeo durante la presentazione, gli inni, e le promozioni varie; a fianco, i tre piloni...di riserva.

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