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Il Signore delle Mosche, e quello dei dementi

"...Piggy e Ralph provarono anch'essi una gran voglia di far parte di quella società demente ma in qualche modo sicura..."

Ho estrapolato questo spezzone di frase da «Il Signore delle Mosche», romanzo che William Golding, inglese, pubblicò nel 1954 e gli diede celebrità: quattordici milioni di copie vendute solo nei Paesi di lingua inglese. E nel 1983 gli fu assegnato il Nobel della Letteratura.

In questi giorni ho letto, purtroppo, cose nauseabonde: dementi che si facevano delle autofotografie davanti alle macerie sotto cui giacevano ancora corpi senza vita; dementi che durante un funerale facevano la stessa idiota scelta; dementi che nei bar e nelle osterie, davanti al loro calicino di bianco o di rosso, discutono di ponti, di cemento armato, di tiranti d'acciaio, come se fossero tutti pronti a prendere l'eredità di Renzo Piano. E che mi dite dei dementi che continuano con la lugubre farsa di applaurire morti e bare? 

"...società demente ma in qualche modo sicura...". Ci sono loro che ci pensano: quelli del noi faremo, noi lasceremo morire in mare quelli diversi da noi, noi difensori dei valori cristiani, noi puniremo, noi cancelleremo leggi, contratti, accordi (che poi si scopre hanno avallato come tutti gli altri inneggiando alla privatizzazione alla globalizzazione, alla efficienza del privato sul pubblico), quelli dei verbi sempre coniugati al futuro. Intanto, in attesa del «faremo», facciamoci un po' di foto autopromozionali con bionde platinate. A Genova andremo domani, c'è un bel funerale con migliaia di possibilità di scatti, con la claque (lo chiamano «il popolo») reclutata un po' ovunque che applaude entusiasta e cliccante.

Società demente. E nauseabonda.

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