GdB: stop al virus dell'odio e dell'insulto
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Per chi non è di queste parti, «GdB» sicuramente non dice nulla. Sta per «Giornale di Brescia», uno dei due quotidiani della vasta provincia bresciana. Quello che vide la luce la prima volta il 27 aprile 1945, appena liberata la città dai nazifascisti. I bresciani lo hanno sempre acquistato, pur facendone talvolta oggetto di facile ironia. Oggi soffre, come tutti i giornali cartacei, di cui qualcuno, molti, troppi, vaticinano la morte definitiva in pochi decenni. Io ci ho lavorato: tre anni da collaboratore esterno, dodici da redattore, allo sport. Lo dico - e a nessuno, giustamente, gliene frega niente, ma non fa nulla - per esprimere un sentimento di appartenza, seppur sfumata nel tempo, una appartenza che mi inorgoglise. Dopo che ho letto, con tutta l'attenzione di cui son capace, l'editoriale del direttore (oggi va di moda direttrice, ma a me non piace), la signora Nunzia Vallini. La quale, con un atto risoluto, ha deciso di rinunciare a un certo strumento di comunicazione che oggi va di moda, troppo di moda, ed è diventato una cloaca. E non è il solo. Leggetevi, se volete, lo scritto di Nunzia Vallini, e vi troverete tutte le motivazioni. Superfluo che le ripeta io, scritte peggio.
Aggiungo solo una speranza che vuol essere una proposta: non lasciamo solo il «GdB», disattiviamo questi strumenti di odio, razzismo, insulto, manipolazione. Chi sta dietro a questi a-social che navigano nel profondo delle schifezze umane? Non lo sappiamo, non ne conosciamo i nomi, i volti, che cosa vogliono ottenere da noi. E non è solo il problema di milioni di imbecilli che sfogano le loro frustazioni trincerandosi dietro l'anonimato, la paura è ben altra: la manipolazione della mente umana. Fate, facciamo a meno di questi strumenti di terrorismo psicologico; terrorismo non è solamente tagliare teste in chiesa o mettere bombe nelle discoteche. Chi fomenta, al coperto di paraventi informatici sempre più sofisticati e anonimi, è pure un terrorista.
Due - tre anni fa, il mio amico Simone, che vive e lavora a Roma, mi scrisse che, non potendone più della monnezza che vedeva circolare sullo stesso strumento di cui parliamo oggi, si cancellò dalla liste degli utenti. Qualcuno mi ha già detto che sono un reperto archeologico, che il progresso non si può fermare, eccetera eccetera. Sì, sono, da molto tempo, ferocemente contrario all'uso indiscriminato di questi strumenti che mi hanno sempre inquietato. A chi cerca di spiegarmi che non è lo strumento in sé ma l'uso che se ne fa, dico che capisco come uno grande. Ma purtroppo è ampiamente dimostrato che non basta. Certo, anche il fuoco serve, a scaldare per esempio, ma non si danno in mano i fiammiferi al bambino solo in casa che me la brucia. Se migliaia, milioni di persone assennate decidessero di spegnere tutti, contemporaneamente, anche solo per un periodo, questi propagatori di odio, forse servirebbe a qualcosa. Magari a ridurre un pochino i 500 miliardi di dollari del proprietario che se la ride alla faccia della nostra prigionia forzata, dei morti, del COVID-19.
Complimenti a Nunzia Vallini e al «Giornale di Brescia». Sta a noi non lasciarli soli.
L'editoriale
Ci siamo tirati fuori, in controtendenza e con convinzione. Troppe parole in libertà, troppi insulti, troppo astio. E troppi profili fake (falsi) che se non generano notizie altrettanto false, si dilettano in manipolazioni neppure tanto dissimulate. Si dirà: ciascuno è responsabile di ciò che scrive e commenta. Ed è vero. Ma in gioco c’è la nostra identità che abbiamo il dovere, oltre che il diritto, di difendere. E con l’identità, anche il nostro modo di fare giornale: informazione di servizio - anche di denuncia se necessario - ma sempre nel rispetto delle persone.
Non è questa la sede per argomentazioni in punta di diritto, ma riteniamo esista una sorta di corresponsabilità quantomeno morale se gli aggiornamenti di una pagina Facebook diventano - volenti o nolenti - pretesto per veicolare falsità, rabbia e frustrazioni o, peggio ancora, commenti che nulla hanno a che vedere con la pluralità delle idee e loro libera e sacrosanta espressione, e ancor meno con il diritto-dovere di informare ed essere informati. Ecco perché abbiamo deciso di bloccare gli aggiornamenti della pagina Facebook del GdB.
Ai tanti «amici» che ci chiedono ragione della scelta, precisiamo che non è stata presa a cuor leggero. C’è un prezzo da pagare e soprattutto una nuova sfida da affrontare: difendere la nostra storia e il nostro futuro oltre che le nostre notizie, suscettibili di errore, certo, ma di paternità (e responsabilità) acclarata della quale rispondiamo sempre e in ogni sede. Consideriamolo una sorta di lockdown contro il virus delle maleparole che non cercano il dibattito, ma la rissa. Che non informano ma demoliscono. Che non vogliono costruire nulla, tantomeno consapevolezza, e che mirano solo a delegittimare, seminare odio, rancore, razzismo. Che non lasciano spazio alla pluralità né alla decenza. Che scaricano bile e non contribuiscono a trovare soluzioni. Un fenomeno non nuovo, ma che nelle ultime settimane con la seconda ondata Covid si è pericolosamente acutizzato, nelle piazze virtuali come del resto anche in quelle fisiche.
Anche solo un’informazione di servizio come i criteri di chiusura o apertura di bar e ristoranti sono diventati pretesto per insultare questo o quello, con minacce più o meno esplicite. Che informazione è questa? Non certo quella che vogliamo fare noi. Né quella che ci chiedono i nostri lettori. Eravamo arrivati ad evitare di pubblicare le notizie più delicate, proprio perchè diventava impossibile moderare il fiume dei commenti, arrivando a barattare la decenza con l’incompletezza dell’informazione, ma neppure l’autocensura è stata sufficiente. Fino alla goccia che ha fatto traboccare il vaso: ci siamo ritrovati bombardati da commenti ai nostri post con il palese obiettivo di creare flame (fiamma), ovvero infiammare il dibattito, godere dell’algoritmo di Fb che privilegia la visibilità dei contenuti che innescano più reazioni, e approfittare della nostra piazza per diffondere messaggi diametralmente opposti al nostro sentire.
C’è di più: in azione non erano «amici» seppur falsi, bensì bot (robot) capaci di sparare messaggi a raffica con automatismi che hanno reso vano ogni tentativo di moderazione manuale. Ecco perché abbiamo messo in lockdowm la nostra pagina Fb: scendiamo da questa giostra, usciamo da questa piazza malsana che ci fa diventare quello che non siamo, che non siamo mai stati e che non vogliamo diventare, ovvero la piattaforma di lancio di chi sfrutta questo tipo di dinamiche alimentando scontri e tensioni, oltre che una vera e propria campagna di disinformazione spacciata per sedicente controinformazione.
Non intendiamo barattare la nostra visibilità con la connivenza a questo gioco malato. Né la nostra storia e il nostro stile con il «traffico» che di fatto premia chi grida (e insulta) di più, con spesso strafalcioni lessicali compresi. Può suonare fuori moda, ma alla quantità scegliamo la qualità, chiedendo scusa e pazienza ai tanti «amici veri» di Fb con i quali sino ad ora avevamo condiviso quotidianità e informazione con soddisfazioni reciproche, pure loro vittime - come e con noi - di questo virus malsano che cerca nell’insulto e nella delegittimazione la sua forza.