Quando il bianco ha paura del nero (1)
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Un nuovo contributo di Daniele Poto su un tema col quale dobbiamo - purtroppo - fare i conti tutti i giorni: il razzismo, che è entrato con prepotenza e inciviltà, grazie a risorgenti ideologie che speravamo definitivamente sepolte (errore grave, e ancor più grave averle sdoganate in nome di un Governo minestrone di una improbabile unità nazionale), favorite da una disinformazione sempre più subdola e rabbiosa. Di seguito la prima parte della lunga disamina di Daniele, nei prossimi giorni il seguito.
Qui sotto una foto fra le più famose della storia dei Giochi Olimpici: il podio dei 200 metri dopo la consegna delle medaglie da parte del presidente della Federazione mondiale di atletica, il britannico Lord Burghley, campione olimpico sui 400 metri ad ostacoli ai Giochi del 1928. Vincitore il grande Tommie Smith, a mio giudizio il più grande duecentista che si ricordi; secondo, a sorpresa, l'australiano Peter Norman, terzo John Carlos. I due americani calzavano un guanto nero (Tommie nella mano destra, John nella sinistra) che alzarono a pugno chiuso, e sul petto avevano un badge della organizzazione OPHR, Olympic Project for Human Rights. Anche Norman aveva identico badge in solidarietà con i suoi compagni di podio, e nelle interviste del dopo gara si disse in sintonia con la loro protesta
Incorporati nella nostra zona confort di relativo benessere occidentale, avviluppati e credenti nei sacri confini di un’Europa che ha scommesso il proprio futuro sull’economia (finendo ovviamente col perdere la scommessa) siamo perfino in difficoltà con l’etimo per definire i nostri fratelli di colore. Ci trinceriamo dietro il consueto adagio anti-razzista (“Non ci sono razze umane, ne esiste una sola”) con il sigillo adiuvante della Costituzione Italiana, pensando di difendere senza complessi il nostro eurocentrismo. La realtà è invece centrifuga. Se non ci occuperemo dell’Africa, sarà l’Africa ad occuparsi di noi. Come dimostrano le migrazioni di popoli sconvolti dalla fame, dalle diaspore, dal terrorismo, dalle guerre di religione, più semplicemente dalla ricerca di un mondo più felice e meno inquieto. L’Europa ospita 500 milioni di anime più o meno consapevoli e l’italiano dovrebbe essere orgoglioso con i propri 61 milioni di abitanti certificati dall’ultima anagrafe di corrispondere a una percentuale di popolazione pari a più del 12% dell’universo complessivo del vecchio continente. In altre parole un europeo su otto è italiano. Con la riserva però di contare molto meno nelle decisioni importanti di economia e di politica rispetto a questa percentuale significativa e tutt’altro che minoritaria. Sembra che tutto si sia deciso tra il 2001 e 2002. Il frettoloso ingresso in Europa per salvarci. Con la conseguenza di un valore dell’euro realmente ridotto a 1.000 lire e non alle 1936,27 pattuite.
Ma l’italiano non può fare a meno di riconoscere il nero come un diverso.
“Volete che alla fine siano esseri umani come noi?”- questo è il non detto, l’inesplicato. Non è un caso che il Governo giallo-verde - che sul versante Lega spinge per questa tesi sottotraccia- sia arrivato a reclutare un 60% di pingui consensi nei sondaggi. E i consensi sono il lasciapassare per una ficcante e consistente politica dei respingimenti con un melting pot antropologico di diffidenza, pregiudizio e con un sottotesto spesso non espresso di razzismo. Rimane il quesito: come definire l’altro, il diversamente colorato?
Altro che Black Lives Matter! Sarà sfuggito ai Millenials o alla generazione successiva degli iperconnessi che nei romanzi del secolo scorso il nero era “negro”? Ci sono negri nei romanzi di Moravia degli anni ’60 e ’70 ma anche negri nei romanzi del ben più contemporaneo e progressista Daniele Del Giudice negli anni ’80. Esempi di cultura popolare che sbandieravano il termine senza complessi e vergogne: nella musica “Angeli negri” di Fausto Leali o “Siamo i watussi” di Edoardo Vianello. Nella prima canzone risuona l’espressione “Povero negro” che ci rimanda ad atmosfere tipo “La capanna dello zio Tom”, ma non ci dimentichiamo che nel ‘900 c’era un romanzo di Ugo Ojetti che fruiva proprio di questo titolo. Il giornalista-scrittore Ugo Ojetti era razzista? Trattasi di domanda rivisitativa che non interessa a nessuno. Ci ricorda Wikipedia: “Sebbene la sua etimologia e il suo significato originale e tecnico non siano né dispregiativi né volgari, sotto l'influenza di simili termini, dal tedesco e soprattutto dall’inglese la parola ha assunto col tempo connotazioni negative anche nella lingua italiana”. Si presume che il passaggio da termine neutro a negativo sia avvenuto nel corso degli anni settanta. Dato che ci sono inglesi e tedeschi di mezzo ci viene il fondato sospetto che lingue e poteri dominanti abbiamo attuato la distorsione, uno slittamento di senso da cui non ci siamo più ripresi. Certo non costituisce uno choc per Vittorio Feltri che continua a citare “i negri”. Peraltro Leali incapperà in una seconda censura perché in un popolare programma televisivo si troverà a difendere “quello che di buono ha fatto Mussolini”, replicando con un “negro” all’indirizzo di Enock Barwuah, il fratello di Balotelli.
Ma a volte i bianchi si travestono da neri e passano per razzisti. Mascherature yankee da Carnevale con la Blackface, la maschera di un negro, passando dall’altra parte della barricata in un Paese di feroce razzismo. Non viene perdonato il travestimento che sembra una canzonatura di un tipo subumano. Più di un politico americano ha visto stroncata la carriera per questa grottesca diversione cromatica. Qui il politicamente corretto è spietato, non sappiamo giudicare quanto sia giusto perché in ogni caso specifico conta l’intenzione di partenza. In Italia non sarebbe successo, non siamo così ipocriti e manichei di fronte a un’intenzione ludica più che spregiativa. L’America razzista in questo caso si fa moralista con un’overdose di perbenismo. Ma anche il Canada ci offre un’overdose di politicamente corretto quando vengono ripescate delle foto giovanili del premier Trudeau con la faccia nera da Aladino. E il politico rischia il posto per questo ripescato moralismo di risulta da quattro soldi. Il caso è rimbalzato in Italia con l’involontario Blackface a mezzo social network del Ministro Di Maio. Anche l’abbronzatura può diventare la scorciatoia di una censura ideologica. E quando la Boschi esibisce le proprie grazie in costume da bagno è politica o vanità femminile?
(segue)