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Roma e i romani, aridàtece Ernesto Nathan

Prolegomeni alla lettura dell'articolo di Daniele Poto sulle elezioni amministrative della città di Roma, che è pur sempre - nonostante tutto - la capitale dello Stato Italiano. Ascoltate questa intervista che ho trovato su un quotidiano nazionale qualche giorno fa, comunque l' hanno ripresa e commentata quasi tutti i mezzi di informazione. Chi parla è Massimo Lopez, attore e comico che vive a Roma. Ascoltate la sua chiacchierata:

https://video.repubblica.it/edizione/roma/roma-massimo-lopez-aggredito-da-un-cinghiale-colpa-di-quelle-bestie-che-dovrebbero-occuparserne/396314/397023?ref=RHTP-BS-I308886389-P6-S3-T1

Sia nello scritto di Daniele che nel titolo c'è citato il nome di Ernesto Nathan. Credo che non sia familiare a molti. Anch'io ne ho appreso nome e opere nei sei anni che ho trascorso a Roma ben istruito da amici di ottima cultura, e poi ne ho letto in qualche libro, uno in particolare «Roma capitale malamata» di Vittorio Emiliani. Nathan fu un sindaco rivoluzionario per tutto quello che riuscì a fare nei sei anni di sua amministrazione del Campidoglio, dal 1907 al 1913, nonostante la subdola e acrominiosa opposizione cattolica, che lo odiava senza sconti, figurarsi lui era di origine ebrea e per di più iscritto alla Massoneria. «Richiudetelo nel ghetto», quello degli ebrei, ovvio, scrivevano sui muri i servi del Vaticano. 

Curioso: fra le tante opere vere e importanti da lui portate a termine durante la sua amministrazione, Nathan viene sempre ricordato per un aneddoto e una battuta. Questo aneddoto narra che, da poco entrato in carica, Nathan chiese di vedere il bilancio del Comune prima di firmarlo. Lo esaminò attentamente e, quando lesse la voce "frattaglie per gatti", chiese spiegazioni al funzionario che aveva davanti. Questi rispose che si trattava di fondi da sempre stanziati per il mantenimento di un battaglione di famelici felini che serviva per difendere dai ratti, topi e pantegane i documenti custoditi negli archivi capitolini. «Nathan prese la penna e cancellò la voce dal bilancio, spiegando al suo esterrefatto interlocutore che d'ora in avanti i gatti ospiti del Campidoglio avrebbero dovuto sfamarsi con i roditori catturati e, qualora non trovassero più topi, sarebbe anche venuto a cessare lo scopo della loro presenza». Da questo episodio deriva il famoso detto romanesco «Nun c'è trippa pe' gatti», che, si dice, Nathan vergò di suo pugno sul documento di bilancio.

Adesso con 'sta sottoclasse politica con cui deve fare i conti la disatrata e malamata città dei Cesari (situazione diffusa comunque in molte altre amministrazioni preda di personaggi da operetta), non solo i gatti son rimasti senza trippa, ma anche gli sfiancati cittadini romani: i gatti son stati sostituiti dai cinghiali, che non si accontentano dei topi.

Il ballo dei quattro cantoni

Ho avuto un preciso flash su una città irredimibile (Roma) quando, parcheggiando nella zona di Castro Pretorio (stazione della metropolitana in loco chiusa da tempo immemorabile), qualcosa di più di un ciuffo d’erba spontanea si è infilato proditoriamente nella mia autovettura sottolineando in un colpo solo, l’autentica jungla erbivora cresciuta in città, in totale assenza del Servizio Giardini e di un minimo di decoro urbano. Ho sommato questo particolare al ritorno autunnale in città, alle macchine in terza fila, ai cassonetti strabordanti di rifiuti, anche fuori dall’ufficio dell’Ama, alla disinvolta presenza dei cinghiali, nel tentativo inane di ricreare un bioparco-bis, arrivando alla perentoria e irreversibile conclusione che Roma Capitale è una città che non potrà mai guarire dai suoi mali.

Quella cittadina di 250.000 abitanti del 1870 (Napoli era più popolosa) spaventosamente gonfiata a tre milioni di presenze, irriconoscente della presenza delle periferie, pessimisticamente ma realisticamente non potrà guarire indipendentemente dalle prossime elezioni amministrative. Comunque vada rimpiangeremo Ernesto Nathan, il sindaco ebreo-massone-inglese che firmò alcune delle più grandi conquiste istituzionali in loco, a suon di prodigiose riforme. Ma rimpiangeremo anche Petroselli, Vetere, Argan e persino Marino (che in questi giorni avrebbe potuto concludere la sua seconda legislatura se il suo malfidato partito non fosse ricorso alla destituzione tramite notaio). A Roma sarebbero disposti a invocare persino il ritorno di Rutelli e Veltroni vista la statura dei quattro aspiranti al soglio che in queste settimane sono in campagna elettorale.

Il rappresentante della destra, Enrico Michetti, ha fatto ironia su se stesso nei manifesti: “Michetti chi?”. In effetti interrogativo azzeccato perché quel versante politico non ha saputo presentare niente di meglio di un avvocato del sottobosco amministrativo capitolino, tribuno di una radio privata. Se venisse eletto c’è il rischio di ritrovarsi Pippo Franco come Assessore alla cultura. Il che, lo potete verificare, sarebbe un bello smacco per chi ha visto in quel ruolo Renato Nicolini.

Carlo Calenda si presenta come l’uomo che non ha partite e liste di affiancamento. “Un uomo solo ma non al comando!”. Ma che sia uomo di centro sinistra è paludata demagogia per chi legge il suo curriculum confindustriale e la sua attuale concorrenziale contiguità con Renzi. Il figlio della regista Cristina Comencini è stato tante cose: cavallo di Troja all’interno del Pd, dentro, fuori, di lato. Schivando le primarie, ritagliandosi un ruolo di battitore libero. Uomo dei Parioli, sconosciuto al degrado con cui invano ha cercato di simpatizzare. Eppure se giri Roma e sondi gli umori c’è sempre qualcuno che spunta fuori e esclama : “Mica male quel Calenda, lo voto!” attribuendogli chissà quali virtù istituzionali.

Poi c’è la Virginia Raggi, avviata a stabilire un nuovo record negativo. Non c’è mai stato un sindaco uscente che sia arrivato quarto su quattro contendenti al primo turno, il che testimonia della sua impopolarità. Verificabile anche presso il Movimento Cinque Stelle. Quasi nulla di quello che aveva promesso si è realizzato, meno che mai (e questa è stata una fortuna) la funivia di Monte Mario. Quattro anni in un profluvio di gaffe, di cambi di assessori, di giravolte, di continui litigi con il presidente della Regione, Nicola Zingaretti.

Con il quale invece andrà d’accordissimo il compagno di partito e sodale Roberto Gualtieri. Dotato di non un eccelso carisma e di non preclare doti dialettiche, spicca tra la mediocrità dei rivali come il possibile soggetto vincente perché ha avuto esperienze di governo non malvagie, è un’umanista, al ballottaggio può raccogliere i voti dei concorrenti eliminati.

Cosa suggeriva Montanelli? “Votare turandosi il naso”. Valeva per la Dc, ma l’attuale Pd non è troppo lontano ideologicamente da quelle posizioni. E dunque nel ballo dei mediocri attendiamoci che Gualtieri spicchi il volo e si palesi come un “fenomeno”.   

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