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Poteri forti, complotto, l'ombra della Spectre

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Chi ha visto - e rivisto - i film di 007 James Bond sa chi e cosa sia la Spectre. Nome azzeccatissimo per costruire minchiate sul COVID e appendici varie. Ci scrive, con un dosato equilibrio, Daniele Poto...

Questo intervento vuole essere di sottrazione ed addizione. E comincio dalla parte destruens di massima attualità. Non si può più dire che “tutto andrà bene” o “tutto è andato bene” di fronte a questa lunga fila di morti (tanti insepolti, ancor oggi), residuo di una pandemia che non tarda a far sentire i suoi effetti, consolandoci perché ogni giorno sono cento, più o meno. Ci consola la Merkel ricordando che l’Italia è davanti alla Germania ma non possiamo esimerci dal ricordare, con solerte spirito critico, tutte le disfunzioni della campagna vaccinale e del conseguente atteggiamento del Governo e delle sue espressioni (Comitato Tecnico Scientifico, Istituto Superiore di sanità).

L’anno scorso in estate veniva propagandato il libro del Ministro competente Speranza in cui si dava per scontata la fine dell’epidemia. Risultato? Libro ritirato dal commercio e maxi-gaffe istituzionale. Poi in inverno, per un’ondata della cui numerazione abbiamo ormai perso il conto, veniva ripresa gagliardamente la campagna e, sotto l’egida di Figliuolo (con la brutale sostituzione del predecessore), con un’overdose di hub si arrivava a vaccinare 600.000 persone al giorno. Peccato che quel sistema a regime sia stato smantellato e si è tornati a una macchina da guerra più piccola e agile che passa soprattutto per farmacie e medici di famiglia. Ma ben lontani da quelle 600.000 dosi che permetterebbero la terza ai vaccinati e la prima ai no vax pentiti. E che dire di AstraZeneca. Prima buono, poi cattivo, poi non si sa. E Sputnik che si fa a San Marino ma in Italia no per cui se viene un russo in Italia per essere in regola dovrebbe essere rivaccinato il che ovviamente è un assurdo clinico sanitario. E gli scandali sulla mascherine (Pivetti docet) e i grandi affari della case farmaceutiche, minimizzati dalle autorità? E la mancata liberalizzazione dei brevetti? E la pia illusione dell’immunità di gregge mai raggiunta e mai raggiungibile nonostante un 87% di vaccinati, quasi record mondiale, primato tutto italiano?Abbiamo citato le disfunzioni più vistose di un sistema sanitario che ha sostanzialmente tenuto nell’orgia di opinioni diverse dei virologi e spesso cambiate in corsa con grande sconcerto dell’opinione pubblica.

Ma veniamo alla fondamentale parte construens. Da cittadino italiano, rispettoso delle leggi, dell’indirizzo pubblico, ossequioso della solidarietà e della salvezza collettiva (su un Titanic non ci si salva da soli) rispetterò le indicazioni che mi verranno date, farò la terza dose nei tempi pattuibili, porterò la mascherina anche all’aperto, non festeggerò il Natale. Perché i no vax restituiscono un’Italia allo specchio irrazionale, spaventata e anti-logica, direi quasi medievale e sotto culturale. Lo voglio dire chiaro e forte. Le cifre presentate nel recente Rapporto Censis sono eloquenti. Il 12,7% degli italiani è convinto che la cure anti-Covid facciamo più male che bene; il 10% sostiene che i vaccini non servono. E sei milioni addirittura si spingono oltre, negando l’esistenza della pandemia. Il 39,9% sostiene l’idea di un grande complotto internazionale per la sostituzione etnica di una supposta presunta razza nostrana. Il 19% ritiene che il 5G sia una grande scusa per controllare le menti delle persone. Ecco, io non voglio appartenere a queste idee deliranti. Tra i non vaccinandi chi difende egoisticamente la propria integrità fisica rivendica un egocentrismo che rinnega l’idea di comunità, di sicurezza e di solidarietà. Quindi not in my name. Non voglio convincere nessuno. Questo non è un messaggio di propaganda. Come sanno i miei amici no vax di questo argomento con loro non parlo e chiedo che loro non commentino e non ne parlino con me. Ho detto solo quello che penso.

Essere se stessi, pur ammirando gli altri

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Non so se ha fatto lo stesso effetto anche a voi, ma a me questa opera di Martino Gerevini ha rallegrato molte giornate di 'sto mese di novembre che se ne sta andando, trascinandoci ancora nel pantano di una situazione sanitaria che non preoccupa solo gli imbecilli. I colori vivaci, l'anarchia delle forme volatili che ti conducono dove vogliono loro, basta seguirle, farsi portare in un mondo di fantasia, di leggerezza. Già di suo Joan Miró i Ferrá quanto a fantasia non aveva nulla da invidiare a nessuno. L'artista catalano, di Barcellona, non fu l'unico ad entrare in questa serie di opere che Gerevini realizzò in stampa digitale, fedele alla sua concezione di un'arte che era legata al suo «mestiere», operaio, tipografo, disegnatore. Sempre ha lavorato le varie materie - tela, legno, carta - proprio come un artigiano, come un liutaio plasma un violino. Questa serie, se ricordo bene l'ultima prima della chiamata finale, comprendeva Mirò, ma anche Henri Matisse, Pablo Picasso, Piet Mondrian, Bruno Munari, il suo ispiratore. L'accostamento non paia blasfemo, Martino come Munari fece della fantasia la sua arma artistica migliore. Mi verrebbe voglia di scrivere che questa collezione di Gerevini - datata 2006 - si potrebbe ribaltare e invece di «Non è Mirò» leggere «Non è Martino Gerevini, è Mirò». E, a ben guardare, anche l'ultima mostra, nel dicembre 2010 pochi giorni prima che il cuore si fermasse, era l'interpretazione personale del lavoro di don Renato Laffranchi. Renato e Martino, entrambi di origine mantovana, due mondi diversi, due professioni diverse, riuniti dal legame artistico.

La nostra opera - Non è Mirò - Anno: 2006 - elaborazione e stampa digitale - Formato: cm 60x60 - Collezione privata

Le leggi fondamentali della stupidità umana (4)

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La quarta legge fondamentale della stupidità umana

Le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo

delle persone stupide. In particolare i non stupidi dimenticano

costantemente che in qualsiasi momento e luogo, ed in qualunque

circostanza, trattare e/o associarsi con individui stupidi si dimostra

infallibilmente un costosissimo errore

"Uno può illudersi di manipolare una persona stupida e, sino ad un certo punto, può anche riuscirci. Ma a causa dell'erratico comportamento dello stupido, non si possono prevedere tutte le azioni e reazioni dello stupido ed in breve si verrà stroncati e polverizzati dalla sue imprevedibili azioni...Nei secoli dei secoli, nella vita pubblica e privata, innumerevoli persone non hanno tenuto conto della Quarta Legge Fondamentale e ciò ha causato incalcolabili perdite all'umanità".

Questo scrive Carlo M. Cipolla a pagina 74 del libro sulla stupidità umana (edizioni il Mulino).

Molto rumore per nulla. È sempre esistito

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Much Ado About Nothing, titolo originale inglese che noi traduciamo in «Molto rumore per nulla». Commedia scritta fra il 1598 e il 1599, ambientata a Messina. La scrisse William che ci siamo abituati a chiamare Shakespeare, ma Dio sa come si chiamava veramente. Son passati oltre quattro secoli ma nulla è cambiato nella arruffata natura umana. Semmai è cambiata in peggio, grazie anche a degli stupidi giocattoli che i furbi hanno costruito per farci diventare ancor più stupidi di quanto già siamo da soli. I furbi accumulano miliardi di dollari, euro, adesso bitcoin (altra diavoleria per rendere i poveri sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi), mentre una moltitudine sempre più numerosa di topi rimbambiti seguono il furbo pifferaio magico. Ormai si vive, ci si alimenta, solo di stupide polemiche, per di più create (ad arte) da altri. Non sapendo neppure bene chi le ha ideate, fomentate, diffuse. Se chiedi: ma chi ha detto 'sta minchiata? scopri che il fruttivendolo ha rivelato al volgo la verità sui vaccini che ha letto sul blog del calzolaio; la saccente salumiera parla di giornalismo e di giornalisti come se avesse diretto per trent'anni il «Washington Post» e invece da trent'anni non sfoglia un giornale; i quattro bevitori seriali del bar accanto fanno a gara, tra un bianchino e l'altro, a chi le spara più grosse. Lo vedo l'amico Bill di Stratford-on-Avon che se la ride con le lacrime agli occhi, lui, il furbacchione, lo aveva scritto nel 1599, prendete il pallottoliere e contate quanti anni son passati. E dove aveva ambientato la commedia? A Messina. A Messina, Italia. Sarà un caso?

Adesso vi lascio a Daniele Poto che ci racconta un paio di recenti esempi di molto rumore per nulla.

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Jep Gambardella ne «La Grande bellezza»: “La vita è troppo breve per perdere tempo con le cose che non mi va di fare”. Al contrario per la gran parte dell’umanità social il passatempo preferito è sporcare le polemiche con altre polemiche disenergizzanti che non hanno motivo di essere: fabbricate sul nulla. Citiamo due querelle recenti che ci hanno colpito e che evidenziano la radice e il probabile stigma del fenomeno. Annalisa Cuzzocrea, notista politico di «laRepubblica», si diffonde in un articolo sull’abbigliamento di Giorgia Meloni attribuendole un vestito nero. La Meloni, piccata (evidentemente per la coda di paglia dell’accostamento “nero eguale fascismo”) rimbecca: “Dovrò regalare un paio di occhiali a questa giornalista. Il mio vestito era blu scuro”. Potete immaginare che comodo innesco per gli hater. Sul colore di un vestito si riversano malanimo e antichi rancori. Ne facciamo un talk show con rissa in diretta magari facendo intervenire Sgarbi?  I social della Cuzzocrea vengono invasi da insulti, spesso anonimi. Il giorno dopo il Comitato di Redazione di «laRepubblica» emette un comunicato di solidarietà alla collega che va vicino all’attribuzione di una scorta. Tanto rumore sul nonnulla? Sono questi i grandi temi della politica italiana? Ma la metafora allude allo stallo di una politica che si fa sempre meno amare (vedi demoralizzante percentuale di votanti alle recenti elezioni amministrative) e che litiga su temi piccoli (con tutto il rispetto, il provvedimento Zan) e invece è bendata rispetto alla povertà, al generale arretramento delle condizioni di vita della popolazione. Un Paese alle prese con 5,5 milioni di poveri “assoluti” e 12 milioni di poveri relativi si percuote il petto per i diritti civili (ripetiamo, con tutto il rispetto) secondari.

Ma veniamo a un secondo grande tema di discussione. Il prof. Barbero, stimato storico e affabulatore, concede un’intervista a cuore aperto a «La Stampa» dove discetta della condizione femminile della donna in Italia. Infila tutti concetti politicamente corretti (pari opportunità, arretramento della parità, mancata salvaguardia della maternità) e si concede solo un piccola dubbio. “Non sarà che molti soggetti femminili sono troppo timidi nel riaffermare i propri diritti?”. Apriti cielo! Gli danno addosso le proto-femministe, i benpensanti, i critici da salotto. Vogliamo affermare che le donne in Italia sono tutte emancipate da nord a sud e pienamente consapevoli delle necessità di una perequazione? Naturalmente anche per Barbero vale la massima che riguarda tutti i personaggi popolari: “Se vieni intervistato una volta al giorno finirai per dire comunque qualche fesseria”. Da Einstein a Barbero. Ma non è questo il caso. Barbero ha detto una cosa giusta.

Piuttosto ci piace molto una frase di Pier Luigi Bersani che con le sue metafore spesso ci azzecca. Riguardo alla posizione iconoclasta di Cacciari sui vaccini è stato fulminante. “A riguardo basterebbe che Cacciari usassse un po’ meno la propria intelligenza…”. Ben detto.

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