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La politica fuori dalla RAI? È una battuta?

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Ripassiamo la parola a Daniele Poto. L'argomento di oggi è già totalmente esplicito nel titolo. Che aggiungere di più? Solo che sono soddisfatto di aver rinunciato 32 anni fa (era il 1989) al possesso di un apparecchio televisivo. Quanto ai sermoni dei rapper, la penso come quel tale che disse, o scrisse, «non la penso come te, ma lotterò con tutte le mie forze perchè tu possa esprimere la tua opinione». Ma che c'entra il rapper (furbissimo, dice Daniele, aggettivo perfetto) con la Festa del Primo Maggio? La sua opinione la vada ad esprimere nel Consiglio di amministrazione delle aziende che riempiono d'oro la sua plastificata consorte. Lavoratori vi siete proprio rimbambiti anche voi? Riprendetevi i vostri spazi, non appaltateli a chi poi li vende a suon di partecipazioni aziendali. Non vi siete accorti che di voi e dei giganteschi problemi del lavoro che gravano su questo disastrato Paese non si è occupato nessuno? Che siete stati messi in un cantone, esautorati? Il Primo Maggio parlate di lavoro, ma parlatene voi, voi della Ilva, della Whirpool, delle tante aziende che non vedono un futuro. Voi, non i divetti di plastica che si fanno i .... loro a vostre spese. A' ridateme Giuseppe Di Vittorio, Luciano Lama, Pierre Carniti!

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La furbissima denuncia di presunta censura del furbissimo Fedez se da una parte ha oscurato le sue canzoni (qualcuno dice che è un bene), le finalità del concerto del Primo Maggio e persino le estremistiche dichiarazioni di alcuni esponenti omofobici della Lega, d’altro versante ha riproposto e rappresentato l’antico vulnus del condizionamento della politica nella RAI. Forse che le dichiarazioni pro-Fedez di Letta, Conte e Fratoianni hanno aperto lo spiraglio di un reale dibattito su questa contraddizione ossimoro? Assolutamente no. Ribadendo una volta di più di quanto sia più determinante e meno demagogico in materia l’intervento di un cantante holding rispetto a tanti presunti leader del centrosinistra. Che poi criticando i vertici aziendali, come è già stato sottolineato, non si sono resi conto del curioso anacoluto perché proprio quei direttori sono stati nominati dai partiti e per filiazione politica e non per merito.

Ah, quanto era tutto più chiaro è indiscutibile quando Rai Uno era il regno dei democristiani, Rai Due il pascolo dei socialisti e Rai Tre il buen retiro dei comunisti! Ora è tutto molto più frastagliato e meno trasparente. Perché potrebbe anche capitare (e non è fantascienza) che Calenda si proponga a sindaco di Roma per il centro-destra, che Emilio Carelli fino a ieri grillino, si batta dalle parti di Salvini e che persino il Movimento Cinque Stelle si dissoci in parte dalla candidatura di Virginia Raggi (non parliamo di Casaleggio jr, per carità, altrimenti la confusione diventa totale). 

Potremo raccontare per filo e per segno di mirabolanti carriere in Rai, non assistite da competenza, merito e curriculum, quanto da iscrizioni a partiti politici. Tanto per fare un esempio la pur stimabile e onesta Ilaria Capitani, nell’occhio del ciclone per l’affaire-censura, vice-direttore di rete, è stata per un biennio l’addetto-stampa di Veltroni. Scaduto il mandato dove poteva essere riciclata se non alla Rai in quota Ulivo? Anche questa la ragione per cui gli organigrammi si affastellano. Contrariamente alla carta stampata dove un direttore viene avvicendato, qui ad ogni spoil system il nuovo insediato dal partito di riferimento s’insedia nella carica a fianco al nominato precedente che, pur rimosso di ogni funzione, continua a percepire un più che rispettabile stipendio.

Al banchetto delle nomine ha lautamente partecipato anche il Movimento Cinque Stelle che oggi ha nel direttore di Rai Uno Carboni il proprio principale riferimento. “Zorro Beha” una volta se la prese molto con il sottoscritto perché scrissi in un libro che per essere nominato vice-direttore in Rai era entrato in quota-Lega. L’adozione non era particolarmente scandalosa, seguiva l’andazzo generale, in quel caso era la mossa provocatoria di un personaggio fuori dagli schemi per mantenere un profilo alto nell’azienda di Stato. Quella per cui paghiamo il canone, l’editore di riferimento. Già in questa espressione, come potrebbe testimoniare Bruno Vespa, sua massima e cannibalistica concrezione, c’è la chiave del suo peccato originale. Riferimento a chi? Ma naturalmente ai partiti.

Dunque, tornando a Fedez, se c’è un Governo sostenuto curiosamente a giorni alterni anche dalla Lega, l’editore si preoccupa se in un suo programma i suoi esponenti vengono messi all’indice per compromettenti dichiarazioni omofobiche. Tutto molto legittimo, naturale e non sorprendente. Andiamo fuori tema. Domenica 9 per assistere all’intervista con Woody Allen in collegamento da New York dopo circa dieci anni siamo tornati a vedere, per una volta, il programma di Fabio Fazio. Insopportabilmente pesante. Avviato con un sermone di Saviano (tutto santo e giusto, per carità), con la marchetta riservata a un libro di Michele Serra, con l’intervista al direttore de «La Stampa» Giannini e con l’intervista a David Sassoli, leader del Parlamento Europeo. Dopo un’ora ero esausto. Devo confessare che il pensiero unico mi perplime. Mi giustificate?

Come diventare vincenti in una regata velica

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Giulia Conti, intervistata da Sandro Pellegrini, tiene fra le mani la fiaccola olimpica di Atene 2004, la prima delle sue quattro partecipazioni ai Giochi. La fiaccola è proprietà della Biblioteca internazionale dell'atletica che ha sede a Navazzo. A fianco, la velista mostra orgogliosamente una copia del libro che ha tradotto dall'inglese all'italiano.

È già disponibile nelle librerie, curato e tradotto da Giulia Conti, “Lo Sport della Vela, Allenarsi a Vincere”. La velista romana di nascita, ma per metà bresciana grazie a mamma Rossella, Scuole Medie a Toscolano, Liceo tra Salò e Brescia, primo corso vela al largo di Bogliaco e prime regate sotto il guidone del Circolo Vela Toscolano-Maderno, non si ferma mai, e durante il confinamento del 2020 (in Australia) si è messa nuovamente in gioco traducendo in italiano il libro “Coach Yourself To Win”, scritto dal britannico Jon Emmet e pubblicato in Italia dalla prestigiosa casa editrice “Hoepli”. Prossima ad accompagnare la squadra statunitense ai Giochi Olimpici di Tokyo  (che chiamano ancora 2020 ma che - forse - si faranno nel 2021 e che sarebbe meglio fare nel 2024, parere del titolare di questa pagina), Giulia ci introduce alle più moderne tecniche di allenamento sia in acqua che a terra.

L'autore, Jon Emmet, è un allenatore professionista; tra i suoi risultati prestigiosi come coach la medaglia d’oro della cinese Xu Lijia nella Classe Laser Radial ai Giochi Olimpici di Londra 2012. È stato per molti anni il responsabile della formazione della UK Laser Class Association. Emmett ha scritto il suo primo libro nel 2008 "Be Your Own Sailing Coach", a seguire nel 2011 "Be Your Own Tactics Coach" e nel 2015 "Coach Yourself To Win". Oltre ad allenare, Jon naviga regolarmente ed è un affermato velista, con numerosi successi in ambito internazionale.

Il libro illustra in maniera chiara ed efficace le tecniche e le modalità di allenamento per prepararsi a qualsiasi tipo di regata. L’autore inquadra ogni dettaglio di questo avvincente sport: preparazione fisica e altri temi fondamentali come la tattica e la strategia sono trattati con l’ausilio di pratici diagrammi e utili fotografie a colori. Viene inoltre analizzato quello che deve essere l’atteggiamento vincente per la corretta gestione di un campionato. Nel libro sono presenti testimonianze di campioni olimpici che, con preziosi e mirati suggerimenti, sono in grado di evidenziare quegli aspetti della preparazione tecnica e dell’allenamento in grado di fare la differenza.

Giulia Conti , classe 1985, laureata in Scienze motorie presso l’Università San Raffaele di Roma, ancora oggi con casa a Maderno, ha partecipato a quattro edizioni dei Giochi Olimpici (2004, 2008, 2012 e 2016), vanta numerosi titoli internazionali, tra i quali nel 2015, anno del famoso «triplete», il titolo mondiale, europeo e italiano nella classe 49er FX, in coppia con Francesca Clapcich. Giulia ha scelto di devolvere il ricavato della vendita del libro alla Scuola Vela Mascalzone Latino, un progetto sociale, che dimostra quanto il mare sia una risposta al futuro dei giovani meno fortunati dei quartieri napoletani più degradati.

Poveretto, gli andò proprio tutto a rovescio

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Quelli che masticano ancora un po' di atletica e di Giochi Olimpici avranno sicuramente riconosciuto l'immagine del barcollante Dorando Pietri, da Mandrio di Correggio, provincia di Reggio Emila, sempre indicato come cittadino di Carpi perchè qui è cresciuto, ha cominciato a portare in giro pagnotte e pasticcini come garzone di fornaio, qui - pare - è stato fulminato dalle esibizioni pedestri di alcuni campioni del podismo e volle imitarli. Notissima la sua epopea ai Giochi Olimpici di Londra 1908, quarta Olimpiade partorita dalla fantasia ellenistica di un nobile francese che passava il suo tempo tirando di scherma, andando a cavallo, esercitandosi nella ginnastica, ma anche studiando i testi della classicità dell'Ellade. E lì abbeverò il suo sapere fino ad immaginare la rinascita di quei Giochi antichi cantati da Pindaro, da Pausania, perfino dallo stesso Omero, tanto che nell'Iliade che nella Odissea  ci racconta di Giochi sportivi sotto le mura di Troia e anche nelle isole dei Feaci. Il nobil signore Barone de Coubertin si invaghì di questa idea e tanto fece fino a quando mise insieme un parterre di nobili, teste coronate, professoroni della Sorbona, e, nel 1894, sotto le volte trasudanti cultura dell'Anfiteatro della somma Università di Francia, diede forma concreta alla sua idea: rinascevano i Giochi Olimpici, là dove Pindaro e gli altri li avevano cantati, la Grecia ed Atene. Cadenza quadriennale, e l'intervallo di tempo si chiama Olimpiade, mentre la celebrazione prende nome di Giochi Olimpici. Ma pochi, purtroppo, nella grande approssimazione con cui si trattano tutti gli argomenti oggidí, fanno caso alla distinzione.

1896, ispirati dal Partenone e dai soldoni (la «grana» c'è sempre di mezzo) di un facoltoso uomo d'affari, George Averoff, pur fra mille tribolazioni i primi Giochi dell'Era Moderna si misero in movimento il 6 aprile, se usiamo il calendario gregoriano. Dopo Atene venne Parigi, in onore al Barone, poi si finì, fra tanti rivolgimenti, a St Louis, Stati Uniti d'America. Un avvio non proprio felicissimo, tra quattrini che scarseggiavano, organizzazioni raffazzonate, e delusioni per il povero Monsieur Pierre che lottava con tutte le sue forze, e talvolta con i suoi averi, per sostenere la incerta creatura che talvolta aveva sconfinato in esibizione da baraccone di saltimbanchi. Si fece perfino una celebrazione ateniense nel 1906 per ricordare i dieci anni dalla nascita. Edizione-non edizione, perchè non conta nel computo della numerazione olimpica, ma si trova ancora qualche  ciuccio che si ostina a computarli. E venne Londra, la Londra di Edoardo VII, figlio della Regina Vittoria, al quale toccò il gravoso compito (una quindicina di parole) di dichiarare aperti i Giochi:«I declare open the Games of London celebrating the Fourth Olympiad of the modern era». Identico cerimoniale dovrà rispettare suo nipote, Giorgio VI, che dichiarerà aperti i Giochi del 1948, dopo aver stoicamente resistito alle devastazioni della Seconda Guerra Mondiale (avete visto il bel film «Il discorso del Re» con i bravissimi Colin Firth e Geoffrey Rush, quattro Premi Oscar nel 2011?).

Fuori tema, mi avrebbe bacchettato la mia maestra Lea Scarpetta. Dovevo parlarvi di un quadro e del suo soggetto. Del secondo ho detto all'inizio, seppur di sfuggita: Dorando Pietri. La sua epopea al termine della maratona, dal Castello di Windsor al White City Stadium, è un reality show ante litteram. C'è dentro di tutto: lo sfinimento, i giudici che lo sorreggono, la momentanea vittoria, la successiva squalifica, l'odore di stricnina, Conan Doyle (quello di Sherlock Holmes), la intenerita Regina Alessandra, la prestigiosa Coppa solo per lui, la gloria imperitura. Siamo sempre stati in tanti ad essere convinti che il panettiere di Carpi è stato molto più famoso grazie alla squalifica di quanto sarebbe stato con la vittoria. Oggi non c'è straccio di libro che scopiazzi qualcosa sui Giochi Olimpici che non abbia la foto del giudice megafonista che sorregge il piccolo emiliano. Ma questo fu, ed è. Dorando il suo bel pezzo di gloria, in fondo, se lo è guadagnato.

Resta famosa anche la frase che da quei tempi in poi è sempre stata ripetuta (copyright non si sa bene di chi):"Io sono colui che ha vinto e che ha perso la vittoria". Il senso di questa frase fu tradotto nel quadro che vedete dalla sensibilità e dall'estro di Martino Gerevini. Per assecondare i capricci di un suo amico che voleva ricordare il centenario della nascita di Dorando (1885) mise mano a quest'opera  che è tutta a rovescio: la figura, le parole, costruite con i vecchi caratteri di stampa che giacevano negli archivi della antica Tipografia Apollonio di Brescia (1840, mica ieri). Un'opera cui sono particolamente affezionato, e che mi ricorda in ogni momento il suo autore.

La nostra opera - Titolo: Dorando - Anno: 1986 - Tecnica mista - Formato: cm 100x100 - Collezione privata

Se siete interessati ad una lezione di ignoranza

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"Sono convintamente antisemita". Lo ripete più volte il sindaco di Gualdo Cattaneo, Enrico Valentini, a garanzia della propria buona fede nel votare contro il conferimento della cittadinanza onoraria a Liliana Segre. Uno strafalcione reiterato in diretta, nella seduta in videoconferenza di venerdì 16 aprile, quando il consiglio comunale del borgo in provincia di Perugia discuteva la mozione presentata dal gruppo di opposizione di centrosinistra "Territorio Comune". Lo stesso primo cittadino che, un anno fa, aveva invitato la popstar americana Jennifer Lopez ad abitare nel piccolo comune di cui è amministratore. Il sindaco è scivolato a ripetizione, nello spiegare come la senatrice a vita sopravvissuta all’Olocausto non avesse legami con Gualdo Cattaneo e quindi mancasse dei requisiti per ricevere l’onorificenza. E per chiarire che il pregiudizio politico non c’entra, Valentini precisa che lo stesso sarebbe valso se al posto di Liliana Segre la stessa proposta fosse stata avanzata per Norma Cossetto, giovane istriana uccisa e gettata nelle foibe, perché anche lei "non è collegata al territorio". Certo, un altro conto sarebbe stato se i consiglieri avessero votato "tutti quanti convintamente per Gualdo Cattaneo città antisemita”, ha detto il primo cittadino. A conclusione di un intervento accorato, pronunciato "come se fossi tra amici", un consigliere fa notare al malcapitato sindaco il reale significato del termine antisemita. Valentini, visibilmente imbarazzato, si corregge: si trattava "dell’accezione contraria", è stato un "lapsus contrario", "mi scuso se è stato interpretato male, è esattamente l’opposto". (Testo di Antioco Fois)

Dopo aver letto le poche righe che lo introducono, ascoltate questo audioe poi pensate quel che vi pare. Io ho solo una domanda: ma dove li pescano i partiti degli ignoranti di tal fatta (ignorante, dicono i dizionari «privo di istruzione o di cultura, incolto, illetterato»). Poveretto, basta ascoltare la sua povertà di lessico e il confuso modo di esprimersi. Ma non è colpa sua, povero sindaco, lo dice sul finale "sono stato interpretato male". Senza chiedere scusa, che sarebbe stato il minimo, no, non lo hanno capito bene. Come sempre.

Se siete interessati ad una lezione di civiltà

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Questo è il composto ma devastante (per l'impresentabile destinatario) monologo dell'attrice romana Antonella Attili, trasmesso nel programma «Propaganda Live», in onda su La7Ascoltare, null'altro.

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