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Incontri ravvicinati con dislivelli emotivi (2)

Nell’incontro all’Hotel Boutique Villa Sostaga fra organizzatori e atleti di competizioni etichettate come «Trail», roba da lassù dove volano le aquile, ho ritrovato, dopo tre decenni di mia latitanza, una persona che tutti dovrebbero conoscere: Franco Solina. A Brescia non serve dire chi è. Qui, a Navazzo, in questa occasione, ha vestito i panni dell’ospite d’onore. Ho già compitato qualche riga in precedenza e non mi voglio ripetere. Questa vuol essere solo una lunga didascalia alla foto scattata da Elio Forti. E anche per raccontare un episodio elargito da Franco Solina ai presenti. Narrò dunque l’oratore, con il suo tono suadente, che la notte in cui veniva a scadenza un secolo e si etichettava quello nuovo con cifra diversa, lui, dopo aver goduto della compagnia di amici e aver alzato il calice allo scoccar dei fatidici dodici rintocchi, si infilò nella sua auto e raggiunse le sponde del lago di Garda, nelle alture alle spalle di Salò, se l’udito non mi tradì. Lì, dopo aver indossato adeguato equipaggiamento, iniziò a salire, ad ascendere verso una cima. Quella dei 1581 metri del Monte Pizzocolo.

Pizzocolo? Un tuffo al cuore, il mio Pizzocolo, la mia montagna, quella che vedo ogni giorno dalle mie finestre, dalla mia terrazza, dal mio giardino. Quel «gu», da guglia, punta, come la chiamano gli indigeni che la osservano da altra prospettiva, cui dico «buongiorno» ogni mattina. E nel mio rimbambimento sono certo che mi risponde. Franco Solina, quell’1 di gennaio dell’anno 2000, raggiunse la cima e lì restò come pietra che non vacilla. Per premiare la sua fatica, il cielo, dove dimora qualcuno che è sempre magnanimo, gli regalò una bellissima alba, che lui fotografò, e «quando la guardo, provo una certa commozione».

E io una certa invidia. Per quella foto. Allora ho deciso di rifarmi, ed ho fatto dono, un dono piccino piccino, a Franco del calendario 2020 che i miei amici Chantal, Pietro e Marco hanno riempito di tredici splendide foto. Il Pizzocolo domina la copertina e ci introduce alle bellezze – ad alcune, ce ne sono tante altre – del Montegargnano e dei sui intorni.

Con affetto Franco, a ricordo di qualche manciata di minuti che ci ha uniti nei corridoi, nella sale di redazione, nella tipografia, del «Giornale di Brescia». Era tanto tempo fa, canta il refrain della canzone.

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