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42,195, quella strana cifra significa maratona

Maratona, Marathónas, villaggio dell'Attica (riferimento geografico per coloro che hanno un cicinin di cultura), allora solo sabbia e forse qualche capanna di pescatori, oggi cittadona di circa 25 mila abitanti, resa famosa da una battaglia combattuta nel 490 a.C.... a.C., ecche vor dì, che ne so io che sono nata nel 2003, direbbe l'ochetta millenias che non sapeva rispondere alla domanda su cosa era successo l'11 settembre 2001, ma rideva, rideva come un'oca ma faccio torto alle oche. Maratona, lettera iniziale minuscola, sostantivo, indica una corsa pedestre (a piedi, ci siamo?) che vuole ricordare quella che (dicunt, narrant, me la cüntan) fece un soldato, tal Fidippide (non Filippide, in greco la translitterazione è con la «d» non con la «elle») spedito dal suo comandante Milziade ad Atene per annunciare la vittoria sui persiani. "Obbedisco", tipica risposta del militare oppresso da superiori ottusi, disse il malcapitato che tra i denti tirava giù dei moccoli all'idea della scarpinata che doveva farsi. E neppure era ben allenato il disgraziato, tanto è vero che arrivato, in qualche modo, in città, fece appena in tempo a mormorare un "abbiamo vinto" che tirò le cuoia. Il racconto mitologico non dice, ma ci sono i testimoni che ho intervistato, che abbia aggiunto "affanculo Milziade". Poi gli dedicarono statue, dipinti, odi (componimenti poetici), ma a lui che gliene poteva fregare? Stecchito era e stecchito restava.

A distanza di qualche secolo a incasinare le cose ci si mise uno scribacchino, tal Luciano di Samosata, che fece una confusione tremenda, che non sto a raccontarvi perchè sarebbe troppo lunga. È questo Luciano che s'è inventato la storiella di Fidippide. Ma la styoria vera, raccontata da uno storico vero, Erodoto, è un'altra. Fatto sta che è rimasta questa filastrocca mitologica del generoso corridore che va da Maratona ad Atene di corsa e, per lo sforzo, ci lascia le penne.

Poi c'è un'altra pantomima, quella di 'sta cifra, 42 chilometri e 195 metri. Da dove vien fuori? Se ne son dette e scritte di tutti i colori, quella che è restata racconta che, in occasione dei Giochi Olimpici di Londra del 1908, i britannici fecero partire la corsa dal Castello di Windsor, dove stavano spaparazzate in vacanza le teste coronate, e non volevano sudare. In loro omaggio - e te pareva... - fecero retrocedere la linea di partenza della corsa di maratona fin davanti al palco reale. Quando rimisurarono la distanza, venne fuori che era di 26 miglia, convertito nei nostri metrucci 42 chilometri e 195 metri. Più lunga delle precedenti edizioni. E che gli vai a dire agli inglesi? Cambiate? Tanto, coerentemente con la loro ben nota spocchia, avrebbero fatto comunque quello che volevano. Da lì dunque questo bizzarro 42,195. Post scriptum: come si vede lo sport è sempre stato indipendente dai potenti, dai governi, dai politici, ecc. ecc. Altra barzelletta.

Eppure, eppure...io a 'sto numero mi ci sono affezionato fin da piccolo. Colpa di una notte romana, di un tale che veniva da una terra che un Crapone che ci aveva sottomessi si era invaghito di conquistare all'insegna di un improbabile Impero fatto di ridicoli cappellucci con pompon pendente, di spade di cartapesta, di aerei, pochi, riverniciati, di scarpe di cartone (che le facesse la ditta di un cognato, come i grembiuli e le mascherine del COVID?). E là, in quel Paese lontano che la cosa migliore che aveva erano delle splendide donne che fecero perdere la testa a tanti, tutti?, i nostri militi mai indifferenti alle grazie muliebri, regnava un omarino secco secco, lo chiamavano il Negus, e le sue origini dinastiche affondavano le radici nel mito di Re Salomone e della Regina di Saba. L'omarino, per non piegarsi davanti al Testone, se ne andò in esilio, ma poi sarebbe tornato sul trono dei Re dei Re e del Leone di Giuda, mentre il nostro è tornato a Predappio, Romagna mia...

Il Negus ebbe tutto il tempo di vedere un suo milite (come Fidippide, ricordate?) vincere la prima medaglia d'oro olimpica per la sua Nazione. Pensate gli scherzi della storia: Abebe Bikila, il corridore, vinse la maratona olimpica sulle strade di Roma, Roma caput mundi, Roma centro di quell'Impero vagheggiato dal romagnolo. Ve le immaginate le risate dell'omino con la barbetta a punta mentre Abebe fendeva le ombre della notte romana nell'abbraccio dell'Arco di Costantino? Una storia nella quale il nostro Dante fiorentin avrebbe intinto la piuma d'oca (legge del contrappasso, reminiscenze scolastiche?).

Vidi quelle immagini in televisione, in casa di un vicino che possedeva lo scatolotto magico, mi impressionarono tanto che mi sono rimaste dentro per sempre. Roma '60 ha segnato l'inizio di una storia personale lunga, molto lunga, perfino troppo. Abebe Bikila e Livio Berruti, loro due nel mio cuore per sempre. Altri sono venuti ma son anche passati. Loro no.

E arrivo all'opera di Martino Gerevini, che gli chiesi espressamente di realizzare per me, pezzo unico. E gli chiesi pure di usare quei numeri: 42195. La cattiveria della vita volle che dopo qualche settimana dalla realizzazione di quell'opera, il cuore di Martino decise di fermarsi, per sempre. Quando, nel silenzio della mia biblioteca, mi siedo e guardo le due opere ispirate alla maratona, 42,195 e Dorando, penso alla fortuna che ho avuto nella mia esistenza: quella di aver avuto un amico di nome Martino Gerevini. 

La nostra opera - 42,195 Omaggio alla maratona - Anno: 2010 - Elaborazione e stampa digitale - Formato: cm 100x100 - Collezione privata

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