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Una nuova specie: homo pensionandus

Il Pizzocolo mi ha inviato la eco di un nuovo sarcastico contributo di Daniele Poto. Stavolta prende di mira una nuova specie animale, sì, animale, perchè così viene trattato il cittadino quando si parla di pensione. Leggete Daniele, e se poi vi resta un minimo di humor, sorridete.

L’homo pensionandus è un incidente della storia, qualcuno sostiene un accidente. Una cartina di tornasole per capire l’evoluzione della specie perché, secondo gli antropologi, l’homo pensionandus è la chiave ideale per comprendere le società del nostro tempo e lo spartiacque tra i secoli oltre che il discrimine tra prima e seconda Repubblica. Per capire Gesù Cristo, Di Maio e perfino la Santanché.

L’homo o la femina pensionatus più felice rinvenuta nella storia italiana è quella che si abbandonò a copiose manifestazioni di giubilo quando fu varata la legge che permetteva di andare in quiescenza dopo 14 anni 6 mesi e 1 giorno di servizio.  Centinaia di migliaia di persone buttarono in aria le scartoffie e ringraziarono quei politici munifici che avevano consentita tanta valorizzazione dell’ozio e del tempo liberato. Non si affacciava ancora il rigetto per le 35 ore di lavoro approvate in Francia. Qui si spalancavano abissi di felicità per insegnanti, militari, lavoratori del servizio pubblico. Insieme si abbandonarono a pratiche di sesso promiscuo, fondarono comuni, vissero esperienze psichedeliche. Dissero in coro: “Che c’importa se ci danno poco. Abbiamo 36 anni e un’aspettativa di vita che ci permetterà di goderne almeno altri 44-45 anni. E sarà possibile trovarci un altro lavoro”. 

Quel tipo di residuato post-industriale oggi è maledetto dalle badanti ucraine o bielorusse che se arrivano a versare contributi per 19 anni 11 mesi e 28 giorni nulla si vedono restituito dall’Inps. E quindi dagli all’extra-comunitario. La pensione la vogliamo tutta per noi.

C’è poi un secondo archetipo. L’homo pensionandus frustatus. E’ quello che arrancava verso la pensione all’epoca di Dini. Ed era vicino al traguardo dei 35 anni di contributi. Stava per sfrecciare fantozzianamente sotto lo striscione quando gliel’hanno spostato, ben oltre la successiva curva. Di anni ora ce ne volevano 57 di età. Contava i giorni, metteva le tacche ma era destinato a soffrire ancora sotto Maroni, sotto Prodi. Poteva anche avere quaranta anni di contributi ma gli mancava l’età anagrafica o al contrario se era decotto all’anagrafe non aveva lavorato abbastanza. Gli hanno messo le finestre per rubargli qualche altro mese. Gli hanno fatto sapere che come lavoratore pubblico per la liquidazione avrebbe dovuto attendere un paio di anni e l’avrebbe presa a rate.

Poi è arrivata la Fornero e qui si impone una lunga pausa. Un minuto di silenzio.

L’Italia della corruzione, delle mafie, dell’evasione fiscale, dell’usura, dell’azzardo, diventava improvvisamente il Paese più virtuoso d’Europa. L’homo pensionandus sopravvisse a stento allo choc. Dai 60 che stava per compiere apprese che di anni ce ne sarebbero voluti 67 e che più invecchiava più cresceva il monte mesi da aggiungere ai fatidici 67. Studi random anticipavano che per i millennial l’età ad hoc per la pensione sarebbero stati 75 anni.

L’italiano nulla sa di rivoluzioni. Dopo il provvedimento nulla accadde, comprese tre ore di sciopero della Cgil. E sapete perché non si ribellò? Perché mediamente prende uno stipendio tanto basso (tanto più basso dei Paesi leader dell’Unione Europea) che è entrato nell’ordine di idee di morire lavorando per percepire il 100% della provvigione invece del 70-75% assicuratogli da una pensione con cui farebbe fatica a sopravvivere.

Di più, ora con il Covid, l’aspettativa di sopravvivenza è diminuita. Ma quale Governo ne renderà conto?

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