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Fare giornalismo sportivo al tempo del virus (2)

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Ho ricevuto un breve e pungente commento alla analisi di Daniele Poto dall'amico Giorgio Barberis, per lunghi anni componente della redazione sportiva del quotidiano torinese «La Stampa».

Raccolgo l’invito di Ottavio e chioso, benevolmente, quanto scritto da Daniele Poto, al quale mi lega antica stima e (spero) amicizia.

Perché dire che i giornali sportivi sono in difficoltà a causa della mancanza di eventi? Mi pare invece che possano dare libero sfogo al nulla che li contraddistingue – salvo pochissime eccezioni legate al singolo articolista e non alla testata – ormai da tempo. Che importa l’Avvenimento? Molto meglio dar libero sfogo a pensieri in libertà ed a polemiche che si rinnovano con sconcertante regolarità. Opinioni sull’acqua calda che, ahinoi, è soltanto tiepida. Colpa della televisione che già trasmette tutto, è la difesa di lor signori. Quindi bando all’avvenimento e spazio ai cosiddetti commenti, purché garantiscano polemica: ben venga dunque il coronavirus che permette di lamentarsi per il sempre minor numero di copie vendute e di lamentarsi dell’assenza di quello che, in verità, non verrebbe comunque trattato. In fondo se qualcuno – in tempi normali – vuole sapere com’è andata la tal partita o la tal gara compri il biglietto e se la vada a vedere, oppure basta faccia ricerche su Internet. Sempre che, anche lì, a breve non incominci a soffiare un vento differente…

Fare giornalismo sportivo al tempo del virus

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Era un argomento che avevamo già sfiorato tempo fa: sport e giornalismo sportivo di questi tempi, mi verrebbe da dire: virus o non virus. Daniele Poto, di cui, forse, avrete già letto altre opinioni in questo spazio, mi ha proposto un suo commento. Eccolo qui sotto. Chi avesse qualcosa da commentare, si senta libero di farlo. Valgono le regole d'ingaggio di sempre: rispetto, ammessa l'ironia, perfino il sarcasmo, non ammesso l'insulto, opinioni contrarie? quante ne volete. Se ne avete voglia...il tempo non dovrebbe mancare... 

Dura la vita del giornalista sportivo quando ti mancano eventi da presentare, cronache da commentare, polemiche da sviluppare. Il “se non era quando” di leviana memoria rintocca da un paio di mesi per inseguimenti virtuali alla realtà fatte di cronache che verrebbe voglia di definire “marziane”. Si sa, la stampa scritta ha i giorni contati e il coronavirus ha accentuato il trend di svilimento di un prodotto meno che mai indispensabile perché imbattutosi progressivamente nella feroce concorrenza di tivù, Internet, blog, e anche di quelle fake news che invece raramente transitano sui giornali.

Nel microcosmo della stampa sportiva oggi gli eventi sono il Giro d’Italia sui rulli, in cui una squadra (l’Astana) conclude con un’ora di vantaggio sulla più immediata inseguitrice (il che la dice lunga sulla validità tecnica dell’evento) o la gara di salto con l’asta nel giardino di casa dei principali specialisti del mondo, per l’occasione auto-degradati di un metro. Il contenitore è una ribollita di temi stantii ma che dovrebbero avvincere. Il lettore dovrebbe appassionarsi ai seguenti temi: se Ibrahimovic ritroverà il Milan? se Higuain tornerà mai in Italia? perché Berrettini non vuole donare la sua quota parte ai tennisti più indietro in classifica? Non vorremmo essere sacrileghi ma l’oroscopo degli sportivi diventa un elemento trainante del palinsesto di giornata, mentre tra i programmi sportivi di Sky e Rai Sport le repliche revival riproducono uno sport che, se non proprio morto, da troppo tempo è ai box di una partenza che non scatta mai.

Sono quotidiani fatti di pagine semplicemente sfogliate, in cui basta leggere il titolo per capire l’insipiente antifona. Eppure bisogna tener botta mentre la stampa indietreggia per numero di copie e vede messa in crisi la cronologia degli eventi principali. Non è solo un calendario 2020 sconvolto, partendo da Sua Maestà il calcio, ma anche una aspettativa 2021 ancora molto temeraria visti i dubbi che s’insinuano persino sul regolare svolgimento dell’Olimpiade di Tokyo differita di un anno. Dunque ci si arrangia, magari lavorando da casa, con scarso coordinamento degli sforzi. E dato che ormai da tempo in questo orticello non è più tempo di inchieste e di opinioni ci si barcamena con le rievocazioni e con le monografie dei personaggi appigliandosi a un futile titolo che giustifichi una pagina d’intervista a Tortu, alla Pellegrini, a Nibali (citiamo personaggi ripetutamente gettonati come costanti ancore di salvezza per riempire gli spazi).

La seduzione della virtualità investe il mercato del calcio con un ossimoro sempre più contradditorio. Da una parte c’è sempre più crisi economica, dall’altra il contraltare è sviluppare il possibile miraggio dell’acquisizione da parte della società italiane di costosissimi campioni come Messi o Pogba. Il tifoso più che mai va ammaliato e coccolato in attesa di una ripresa a pieno tempo.

È la stampa bellezza? Verrebbe voglia di rovesciare l’adagio cinematografico. “Che brutta e inevitabile stampa nei tempi del coronavirus”. Intanto avvengono fatti che turbano e destabilizzano. Maurizio Molinari, dopo aver portato a un brusco tracollo il numero delle copie vendute de «La Stampa», si trasferisce a «Repubblica» (per continuare su quel trend) dopo il poco elegante siluramento di Carlo Verdelli (breve il suo regno), mentre Urbano Cairo dipinge l’impero delle proprie testate in crisi anche se i conti indicherebbero una congrua prosperità. Segnali scricchiolanti da un mondo in decadenza dove non ci si illude più sull’esistenza in vita di editori puri, compreso De Benedetti che prepara «Domani», nuova testata pronta in autunno.

Non abbiamo imparato, e non impareremo nulla

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Queste non sono le solite frescacce scritte dal titolare di questo spazio-non spazio. Leggetelo, ne vale la pena. Io mi ci sono ritrovato interamente, tanto che, anche senza chiudere gli occhi, ho sognato che queste considerazioni le avevo scritte io. Le ho trovate, e diligentemente ricopiate (operazione che non s'ha da fare, lo so, lo so, ma i contenuti sono come un manifesto per le persone intelligenti, devono essere conosciuti, rilanciati) da una intervista sul sito del quotidiano «la Repubblica», l'intervistato è il prof. Franco Cardini. Adesso aggiungo, qui sotto, due righe per presentarlo a chi forse non lo conosce ancora. Date retta, per una volta, leggete fino in fondo, non limitatevi a far finta alzando il pollicione. Non vi chiedo di condividere la mia adesione ai concetti espressi del professore, ognuno ha la libertà di pensare con la propria testolina. Spero ancora per molto tempo, anche se vedo dei brutti nuvoloni neri addensarsi sul mio irrequieto amico Pizzocolo.

Del prof. Franco Cardini, in una rapida sintesi, si può dire: fiorentino, qualche brutta macchia destrorsa in gioventù, si laureò in Lettere all'Università di Firenze l'anno della inondazione (1966). Poi carriera universitaria, e tante proprio tante pubblicazioni. Cardini è fra i massimi studiosi delle Crociate, i suoi libri dovrebbero essere letti e studiati da quegli idioti che sparano cazzate sulle radici cristiane dell'Europa e sulle guerre sante di religione: pietosi imbecilli. Solo altri due «tocchi» sulla personalità di Cardini che mi trovano suo alleato: non ha mai nascosto di avere sempre ammirato Ernesto «Che» Guevara e ha espresso forti dubbi sulle versioni ufficiali fornite dalle autorità americane circa gli attentati dell'11 settembre 2001, partecipando tra l'altro all'inchiesta Zero condotta da Giulietto Chiesa, giornalista (vero) morto proprio pochi giorni fa.

Professore, come sta vivendo questo periodo di lockdown?

Cerco di guardare film e di evitare accuratamente i dibattiti televisivi perché ne ho fin sopra i capelli. Tutte le settimane pari ci dicono una cosa e quelle dispari un’altra sempre con l’aria di aver ragione. Sono stufo dei governatori che un giorno si fanno vedere con la mascherina e il giorno dopo dicono che invece bisogna riaprire tutto, tanto per non fare nomi il governatore della Lombardia e del Veneto.

Ecco, bando ai fronzoli. Da storico di razza, ci offra una sua interpretazione della situazione presente. Partiamo dalla politica.

Vedo un comportamento leggero, improvvisato, poco proficuo sia come idee che si vogliono portare avanti sia della situazione in generale da parte delle opposizioni. Trovo il sistema democratico attuale pieno di lacune e di contraddizioni, le opposizioni in un sistema democratico dovrebbero fare quello che gli inglesi chiamano l’opposizione di sua maestà, cioè un’opposizione fatta sempre nella prospettiva della collaborazione per quello che è il bene comune e il bene pubblico. In questa particolare situazione le opposizioni stanno venendo gravissimamente meno a questo obiettivo. È troppo facile, qualunque scelta faccia il governo, obiettare che si sarebbero potute fare scelte diverse, opposte e non pagare nessun dazio per questo, mentre un governo che si prende la responsabilità di prendere delle decisioni e fare delle scelte ha delle ricadute immediate e il risultato è che la società civile poi giudica e giudica sempre nel modo peggiore. Il gioco di tutte le opposizioni attuali, sia all’esterno che all’interno del governo, fare il paragone tra i risvolti peggiori della decisione presa e quelli migliori di una ipotetica risoluzione prospettata sapendo bene che non ci sarà mai la riprova del nove. Il complesso italiano del “ah, te l’avevo detto”, una follia.

Quindi lei è a favore delle scelte del governo in questo frangente?

Io non sono fra quelli che sostengono che il governo italiano abbia sbagliato a fare le scelte che ha fatto e non sono nemmeno dell’avviso che abbia fatto tutto perfettamente, però vede, quando qualcuno deve prendere delle decisioni trovo molto sleale anche in una democrazia da parte delle opposizioni, in situazioni come queste, il non comportarsi come dovrebbe comportarsi un’opposizione democratica. È legittimo che uno stesso gruppo di parlamentari del parlamento italiano attacchi un governo perché spende poco per la sanità o per la scuola e d’altra parte accetti col proprio voto favorevole che lo stesso governo impieghi miliardi di euro per l’acquisto di alcune apparecchiature militari che servono per impegni bellici di non si sa quale tipo? Alludo all’acquisto dei famosi F35.

Un comportamento figlio della “sondaggite”?

I sondaggi non sono il vangelo, non possono nemmeno essere sventolati terroristicamente. Un sondaggio dà una risposta che è già insita in come la domanda viene posta. La stragrande maggioranza di quello che si dice in politica lo si dice semplicemente in vista di risultati immediati in termini di popolarità o impopolarità che potrebbe portare. Faccio un esempio: se noi discutiamo di riaprire o no, il leader politico si fa questa domanda: Come posso entrare nelle grazie dell’opinione pubblica? E quindi segue quello che sembra essere la cosa che lo fa salire nei sondaggi. Non si lavora per uscire da questa situazione nel comune interesse ma per far si che l’opinione pubblica trovi le proprie posizioni più opportune e sensate rispetto a quelle della parte avversa.

Passiamo alla storia, quale sarà la memoria storica che avremo di questa pandemia?

Tutto questo ci segnerà pochissimo, ci segnerà molto in termini di recriminazione ma poco in termini di ricordo di elementi negativi per vari motivi, intanto perché c’è un meccanismo di selezione nella memoria individuale e collettiva che attutisce sempre gli aspetti negativi ed esalta quelli positivi delle situazioni che si sono affrontate.

Una frase che si sente dire molto è che siamo in guerra, che questa è una guerra…

È senza dubbio una bella frase retorica. Quelli che dicono questo li manderei a vedere cosa sia veramente una guerra, come quella che stanno vivendo da quarant’anni, a intervalli, in Afghanistan o come quella che da almeno trent’anni dalla prima guerra del Golfo, è in corso in Iraq. Situazioni in cui giorno dopo giorno c’è il pericolo di vedersi bombardati, mitragliati, che non arrivino i medicinali, i viveri. Certo che abbiamo vissuto questa situazione in modo tragico, soprattutto chi non ha una casa o una situazione sufficiente a vivere una la segregazione in modo decoroso o chi ha perso familiari, sono senza dubbio situazioni dirompenti ma attenzione, noi le viviamo sempre da occidentali. Pensiamo che una larghissima parte della popolazione mondiale avrebbe vissuto la pandemia, e la sta vivendo, in modo ancora peggiore. Noi stiamo parlando del virus e delle ricadute per l’occidente, non ci siamo preoccupati quasi per niente di dire cosa sta succedendo in Africa. È uscito un dato di 3 milioni di morti per una combinazione di coronavirus e malaria nel continente ma la notizia è stata data come nota a margine. Senza contare i dati che vengono dal Brasile.

A proposito di Occidente, il Financial Times è uscito un paio di giorni fa con un articolo in cui sostiene che i grandi perdenti della pandemia siano Xi Jinping e Vladimir Putin. L’ha letto?

No, ma ne prendo atto e mi chiedo: non è un grande perdente colui che per molte settimane ha continuato a dire che non stava succedendo nulla, che era tutta propaganda, che ha minacciato perfino di tagliare i fondi all’OMS e che adesso ci sta dicendo che è tutto un complotto cinese? Può anche darsi che, nel breve termine, potrebbe risultare un grande vincente, non è la prima volta che nelle contese internazionali vince il peggiore. Pochi giorni fa un gruppo di armati ha preso il campidoglio dello stato del Michigan in quella che viene considerata la prima democrazia del mondo, è una vittoria o una sconfitta?

Ritornando alle frasi retoriche, diventeremo migliori o peggiori?

Sarei un pessimo storico se dicessi diventeremo questo, diventeremo quello, perché se c’è una cosa che chi studia il passato per interrogarsi sul futuro sa benissimo è che non si possono fare profezie, quando gli storici fanno profezie le sbagliano quasi sempre. Per farla breve, non so se diventeremo migliori o peggiori però so che il trend attuale dell’umanità va verso una ricchezza sempre più concentrata in un numero ristretto di mani; in cui le scelte libere vanno diminuendo a favore di scelte determinate da élites che non lavorano per il bene pubblico ma per il profitto, élites finanziare, tecnologiche, economiche, cose rispettabilissime non mi fraintenda, ma che non lavorano per il bene pubblico. La cosa peggiore che potremmo fare una volta passata la pandemia sarebbe di proseguire su questa strada e non capire la lezione. Mi faccia aggiungere una cosa, il distanziamento sociale in Italia è forte, lo è in tutto l’occidente e specialmente nella libera e felice America. Distanziamento sociale infatti significa che di fronte alla necessità di accedere a cure necessarie c’è gente che se le può permettere e altri con possono. Quello che stiamo attuando adesso per la pandemia sarebbe più corretto definirlo distanziamento spaziale.

Detto questo, per gli italiani che futuro si prospetta?

Se uscissimo dalla pandemia con la convinzione che questo sistema iper-liberistico lascia indietro troppe persone che non si possono difendere e che quindi va corretto, se impareremo (e noi italiani siamo particolarmente inadatti, refrattari), che facendo scelte che favoriscono anche la sicurezza e il benessere degli altri se ne ricava un vantaggio anche personale questa sarà una buona lezione che noi avremo avuto dalla pandemia, se dalla pandemia impareremo che se si va contro la legge si può avere un vantaggio personale ma si mettono in difficoltà i concittadini. Faremo questo passo? Noi continuiamo a dire che gli italiani stanno reagendo alla situazione al limite dell’eroismo, io sono molto più scettico. Siamo pur sempre un popolo di evasori fiscali, di gente che cerca in tutti i modi di non pagare le tasse, un popolo di persone che, anche se non costretta, sceglie di lavorare a nero, un paese di furbi. Se noi italiani imparassimo da questa crisi che la furbizia non paga, questo sarebbe un eccellente risultato.

Ne saremo in grado? Su cosa scommette un euro?

Sul fatto che non impareremo nulla.

Pensieri (degli altri), che servono a noi (2)

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Il coraggio di avere paura, di Javier Cercas, spagnolo, scrittore, saggista, giornalista, docente universitario - "...i grandi problemi di oggi sono transnazionali, come l'attuale crisi insegna ancora una volta, mentre per risolverli disponiamo quasi esclusivamente di strumenti nazionali...A peggiorare le cose, c'è l'uso deprimente che i politici fanno dei pochi strumenti transnazionali a disposizione, come ha dimostrato ancora una volta la reazione lenta, titubante, ingenerosa, insoddisfacente e timida della Ue alla pandemia. Inoltre da quando essa è scoppiata, sento dire spesso che le crisi peggiori tirano fuori il meglio di noi. Ecco un'altra dimostrazione di ottimismo infondato. Almeno questa è la conclusione che ho tratto dalla crisi del 2008...".

Confini, di Matteo Nucci - "...originariamente il confine, non un limite o un passaggio invalicabile. Ma piuttosto il luogo in cui la vicinanza prevale. L'aggettivo latino da cui il termine deriva significa appunto confinante, contiguo, vicino...Un guaio, allora, se abbiamo scambiato il confine per il muro, la frontiera invalicabile, la linea su cui erigere barricate...l'isolamento si realizza ora all'interno di quei confini che volevamo difendere...Pensavamo fosse possibile per sempre superare il confine...e invece no. Vorremmo correre, viaggiare, partire. Ma non è più possibile. Inutile recriminare. Il virus è fra noi. È entrato non curandosi di confini, reticolati, mura o inutili barriere. Ha stravolto le nostre abitudini e le nostre certezze trapassando dalla parola d'origine a quella più abietta: il confino...".

Il mistero di Cipputi, di Edmondo Berselli, scrittore e giornalista - "...Altan e il suo alter ego proletario continuano a guardare la realtà per come la vedono, non per come viene dipinta...Cipputi, se rivolge lo sguardo alle proprie spalle vede le fregature che ha preso, se guarda avanti vede le fregature che prenderà. E allora, di fronte al mistero di una storia che procede a senso unico, si prenderà ancora una volta la soddisfazione di dire come stanno le cose: se vi piace bene; e se non vi piace, state sicuri che ve le faranno piacere".

Boris Johnson, pericolo isolato, di Luca Bottura, giornalista - "Fino a ieri se ne potevano deridere i capelli all'Aperol, le milleeuno gaffe, l'aspetto folcloristico, il sovranismo corretto Guinness. Dopo che ha dapprima teorizzato la decimazione del suo popolo, salvo poi chiudere persino i pub, costringendosi dunque a non sapere il da farsi a una cert'ora del pomeriggio, nonché ogni altro locale pubblico, si può definitivamente affermare che, se Boris Johnson fosse un attore, potrebbe recitare «Scemo e più scemo» da solo. Eppure nel comportamento del primo ministro britannico, che si crede Churchill e manco si avvicina a Mister Bean, affiora la bolla della consapevolezza. Egli sa perfettamente che il sistema sanitario inglese, devastato da Margaret Thatcher, è un corpaccione vuoto che poco potrà fare contro l'epidemia. Cioè, la testimonianza plastica della modalità anglosassone di welfare che persino il democratico Joe Biden ha recentemente espettorato:"Il privato vince, il sistema sanitario per tutti in Italia non ha funzionato". Nella classifica Bloomberg delle migliori sanità mondiali, l'Italia è quarta. Gli USA sono 55esimi. Dopo Iran, Tunisia, Azerbaijan. Eppure pensano di darci lezioni. Loro, gli estremsiti del fai (e soprattutto paga) da te, quelli ancora convinti che chi appartiene a un'élite, dunque si è meritato le cure, sia comunque destinato a sfangarla. Ecco, no. Anni di macelleria sociale hanno massacrato anche la cosiddetta classe media, allargando all'infinito la forbice tra i tycoon e chi, presto, oltre Manica o oltre Oceano, rischia di non potersi permettere manco l'aspirina. Poi, per carità, vale tutto, anche che i Johnson, i Biden, naturalmente i Trump, ci facciano la morale su quello che - nonostante il tatcherismo all'amatriciana degli ultimi anni, anche dei cosiddetti governi di sinistra - facciamo ancora meglio di loro. Però, ecco, lmeno sottovoce. Thank you". 

 

Maggio 2020, io speriamo che me la cavo

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Qualche ora fa, era notte nera, mi sono messo davanti al bel calendario reso prezioso dalle fotografie dei miei amici Chantal, Pietro e Marco. Orologio in mano ho aspettato le 00,00 per girare pagina, oscurare il mese di aprile e chiamare alla luce quello di maggio. Un rito personale per esorcizzare il macigno che è caduto sopra le nostre teste mentre andavamo in giro alteri, sussiegosi, illusi di aver piegato il mondo a tutti i nostri capricci. E invece, qualcuno, qualcosa, chi? dove? ci ha fatto piegare le ginocchia, e ci sta facendo piangere. Da quando ho chiuso la porta sul mondo esterno (orsono ben 55 giorni) mi interrogo su come sarà il futuro immediato, il futuro-futuro, che ne sarà dei miei progetti, dei miei affetti, delle mie amicizie. Che ne sarà della mia vita, dello scampolo di vita che (forse) mi resta?

Attorno, da lontano e con i molti filtri (veri? falsi?) che sono costretto a usare per leggere anche solo il giorno dopo, traggo segnali sconfortanti, come dicevano gli aruspici che leggevano le interiora degli animali sacrificati, segnali nefasti. Vedo un formicaio di piccoli esseri che ancora si agitano all'impazzata, senza sapere bene cosa sono, cosa vogliono, dove andranno. E quando si stancheranno di cantare e di suonare dai terrazzi, che ne sarà di noi? Cosa vogliono lo sanno, eccome, il ritornello è sempre quello: soldi, soldi, soldi, danè, schei. Assalto alla diligenza, c'è posto per tutti i Jesse James del 2020: mafia / mafie; delinquenti che non si arrestano neppure davanti ai chilometri di bare e spacciano materiali taroccati; delinquenti comuni che violentano un valore che dovrebbe essere sacro per chiunque, la vecchiaia; pantegane che si sono annidate da tempo nei gangli vitali dello Stato e non ne sono più uscite, e fanno affari d'oro con le Istituzioni che faticano a trovare risposte, e loro, le pantegane, imbrogliano con grandi sorrisi telegenici. Commercianti di gadget, di biciclette elettriche costruite in Cina, playboy squattrinati, tutti si sono improvvisati bottegai di materiale sanitario raffazzonato, inutilizzabile, inadeguato, come ha certificato l'Università di Torino, me par, che ha testato migliaia di mascherine traendone il terrificante responso che otto su dieci non valgono un tubo.

E adesso verrà il bello, cioè il brutto, altro che «Magio lè el mes dele bune òpere» come dicono da secoli gli indigeni (quelli che restano) delle mie montagnette gardesane. Qui bisogna far ricorso ancora una volta al maestro elementare Marcello D'Orta e al suo libro «Io speriamo che me la cavo», raccolta dei componimenti dei suoi alunni napoletani. Ma ho tanto paura che invece andrà a finire come scrisse con una saggezza spicciola, popolaresca, ma di solidità millenaria un altro bambino: «Chi nasce poverello e sfortunato gli piovono cazzi in culo anche se sta assettato».

E adesso la foto che ci regala un' oasi di pace nella frazione Costa, che comprerei in blocco avessi i quattrini. Sta a quasi 1000 metri, qui a pochi chilometri da casa mia, lo dico per gli amici lontani che Navazzo e dintorni non conoscono. Con l'augurio che passata la tempesta siano in tanti a venirmi a trovare, io, l'uomo del monte, ma senza ananas.

Dove: Costa - Apparecchio: NIKON D300S - Lunghezza focale: 8.0 mm - Ottica: 8.0 - 16.0 mm f/4.5 - 5.6 - Tempo esposizione: 1/800 - Diaframma: f/8.0

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